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Da Dante a Virgilio, ecco come è nata l’Italia

17 maggio 2024

Da Dante a Virgilio, ecco come è nata l’Italia

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«Tutto riporta a Roma. Parole come repubblica, senato, giustizia, libertà, popolo sono di origine latina. La scienza politica, che parla latino. L’Occidente, che è una costruzione retta sull’antica Roma». È stato un viaggio alla scoperta della civiltà romana e del suo straordinario contributo alla cultura universale quello compiuto dal giornalista e conduttore televisivo Aldo Cazzullo lunedì 13 maggio nell’aula Pio XI dell’Università Cattolica del Sacro Cuore durante la lezione aperta “Da Dante a Virgilio, nascita di una patria”.

Un incontro, ispirato al suo ultimo libro “Quando eravamo i padroni del mondo. Roma: l’impero infinito” (HarperCollins Italia, 2023), ricco di aneddoti storici sui personaggi come Cesare, Ovidio, Catone e impreziosito dalla declamazione di alcuni tra i più bei versi danteschi, sin da quello celebre del primo canto: “Di quella umile Italia fia salute; per cui morì la vergine Cammilla Eurialo e Turno e Niso di ferute”. Ma anche un elogio dell’Italia tutta: non un «paese qualsiasi», bensì il «software del mondo», il «luogo in cui si pensava, in cui nascevano gli stili: il rinascimento, il barocco, il manierismo, il classicismo, il futurismo…».  

Per questo motivo «Dante sceglie Virgilio come guida nell’oltretomba» perché gli consente di «gettare un ponte con la Roma antica». E in effetti «il poema dantesco ha a che fare con l’idea di costruzione di patria», ha ricordato il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli nell’introduzione all’evento, menzionando una puntata della trasmissione “Una giornata particolare” condotta dal giornalista su LA7 e dedicata alla figura di Dante. «La costruzione delle nazioni si fonda sempre e spesso sull’opera letteraria. Lo si vede in Virgilio che attraverso il suo poema nazionale ha dato nobili, divini natali a Roma».

 

 

Eppure, ancor prima di Virgilio e Dante, è Giulio Cesare a parlare d’Italia. «Quando conquista le Gallie scrivendo al Senato proclama: “Dalle Alpi all’Oceano non c’è nulla che l’Italia debba temere”. Per la prima volta qualcuno in un documento pubblico ricorre alla parola Italia». Dante credeva nell’Impero. Per il poeta fiorentino l’Italia non era uno Stato, ma «un’idea, una potenza culturale che aveva gettato un ponte tra la classicità e la cristianità». E Virgilio, considerato tra gli uomini più saggi della sua epoca, rappresenta «un illustre progenitore» per Roma. È colui che ha previsto la nascita di un puer, un bambino, che viene a «salvare l’umanità» e a «riscattare la storia».

Ma è soprattutto il cantore di Enea, da cui tutti noi discendiamo. Uno sconfitto, un profugo, e non l’eroe vincitore come Ulisse, le cui gesta sono cantate nell’Iliade. «È l’eroe pietoso che fugge con il padre sulle spalle, Anchise, e con il figlio, Iulo. È l’eroe misericordioso che si fa carico del passato e del futuro, degli antenati e dei discendenti». Insomma, incarna la «pietas», quel sentimento romano in cui i cristiani riconoscono se stessi.

Ed è per questo motivo che Dante sceglie Virgilio. Ed è per questo che entrambi sono «fondamentali per la costruzione dell’identità italiana». Infatti, «l’Italia ha questo di speciale: non nasce dalla guerra, come la Francia, o da un matrimonio dinastico, come la Spagna, e neppure da un divorzio, come l’Inghilterra. L’Italia quando diventa uno Stato esisteva già: era nata dai versi di Dante, che si rifacevano a quelli di Virgilio, e dagli affreschi di Giotto».

Siamo perciò tutti figli di Dante. La stessa “Divina Commedia” è piena di espressioni che neanche noi sappiamo essere state scritte da Dante, e che tuttavia ogni giorno continuiamo a utilizzare: “stare fresco”, “stare solo soletto”, “a viso aperto”, “avere un piede nella fossa”, “guarda e passa”, fino alla più celebre “lasciate ogni speranza voi che entrate”.

Ebbene non a torto lo scrittore Borges ha definito l’opera dantesca tra i più bei libri scritti dagli uomini. Un libro scritto in italiano e da un italiano. «Essere italiani è una fortuna» e anche una «responsabilità», quella di essere «all’altezza di questo patrimonio di cultura, di bellezza e anche di valori morali che i nostri antenati ci hanno lasciato in eredità».

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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