È il 16 febbraio 2017, Georges riceve una mail da Azdyne che gli chiede un incontro. Undici giorni dopo si vedono per la prima volta in un caffè parigino e parlano per ore. Due padri di fronte alla perdita dei loro figli entrambi di ventotto anni, Lola deceduta nell’attentato al Bataclan il 13 novembre 2015, Samy uno dei terroristi ucciso dalla polizia durante l’attacco.
Sono trascorsi dieci anni da quella tragica sera che ha segnato per sempre un prima e un dopo nella vita di centotrenta famiglie. Un lungo tempo in cui Georges Salines e Azdyne Amimour hanno scelto l’azione e il dialogo al posto della paralisi e del silenzio a cui spesso un dolore inconsolabile condanna. Il bisogno di capire e di ribaltare la logica dell’odio, la necessità di usare il superamento di sé stessi come terapia del dolore hanno tracciato la via per questi due padri che sono diventati amici e hanno messo la propria storia a servizio di chi ha avuto esperienze simili e di chi, come uno spettatore attento, vuole capire di più.
Insieme hanno scelto di parlare in pubblico ancora una volta e l’hanno fatto martedì 13 maggio davanti a un’aula gremita di studenti durante l’atteso incontro “Sperare contro ogni Speranza. Il coraggio del dialogo dopo il terrorismo: Georges Salines e Azdyne Amimour si raccontano”, promosso dal Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia e dall’Alta Scuola Federico Stella sulla giustizia penale.
«Il titolo dice che nella forza delle parole e nel dialogo che ne scaturisce si intesse la speranza – ha detto il direttore del Centro di Ateneo Camillo Regalia introducendo l’evento –. Il dialogo e le parole, infatti, uniscono e consentono di provare a illuminare quello che è successo per dare un significato. Questa amicizia nella diversità dei caratteri e delle visioni della vita è la testimonianza potente che la pace disarmante e disarmata richiamata da Papa Leone XIV non solo è un invito e un impegno che tutti siamo chiamati a corrispondere, ma anche una realtà che si può sperimentare e può diventare una pietra angolare su cui costruire un nuovo modo di convivere».
Perché alcuni giovani desiderano uccidere altri giovani? «Se vogliamo la pace dobbiamo capire cosa è accaduto. Ho fondato un’associazione – ha raccontato Georges Salines, di professione medico di base – perchè volevo capire come attuare la verità. Ho incontrato madri di giovani jihadisti che combattevano in Siria, alcuni dei quali sono morti, altri scomparsi e ho capito che il dolore di queste madri ci accomunava».
Il racconto del vissuto dei due padri è raccolto nel libro scritto a quattro mani A noi restano le parole. Dopo il Bataclan: dialogo tra il padre di una vittima e quello di un terrorista, uscito in Francia nel 2020 e in Italia nel 2022, con l’intento «di evitare che il terrore e l’orrore provato dalla società diventassero una forma di odio, diretto contro tutti i musulmani».
Adzyne Amimour, 78 anni, combattente nella guerra in Algeria e con molti lavori alle spalle da produttore cinematografico a pilota, è musulmano e come lui suo figlio Samy, un ragazzo educato, gentile, che ha viaggiato, si è laureato in Giurisprudenza, poi ha cominciato a frequentare la moschea, a sposare posizioni radicali fino a decidere di arruolarsi con Daesh. «Incomprensibilmente» – ha detto Azdyne che è andato in Siria tra i terroristi per cercare di riportare a casa suo figlio ma senza successo. «Quello che ha fatto è orribile ma io sono comunque suo padre e sono tra l’incudine e il martello – si è aperto Azdyne –. Sento il peso del fallimento e un senso di colpa perché non sono riuscito a convincerlo, né a comunicare con lui». Ma «l’amore non giudica. Io posso solo cercare di comprendere, solo Dio può perdonare».
Se Samy fosse ancora vivo, lo vorrebbe incontrare e cosa gli direbbe? Ha chiesto uno studente a Georges. «Certo che vorrei incontrarlo. Gli direi che Lola aveva la sua età, sorrideva, si divertiva, pubblicava libri per bambini, e gli chiederei “per quale motivo l’hai uccisa? Che senso ha questo?”».
Molte domande restano aperte. C’è chi come le mogli di Georges e Azdyne non riescono ad affrontare il dolore se non in solitudine, e chi è resiliente e sceglie di agire. Dibattiti, confronti, incontri nelle carceri con detenuti jihadisti per attività di prevenzione della radicalizzazione, azioni di giustizia riparativa, queste e molte altre attività, come gli incontri con diversi terroristi del Bataclan e dell’attentato di Bruxelles nel 2016, sono state all’ordine del giorno per i due padri che continuano a dedicarsi alla divulgazione di una cultura della pace attraverso il dialogo.
Claudia Mazzucato, docente di Giustizia riparativa in Università Cattolica, partendo dal legame speciale e profondo tra i due, ha chiesto cosa li separa e cosa li unisce, essendo in due posizioni particolari perché non sono, come accade abitualmente nei processi di giustizia riparativa, un colpevole e una vittima.
In realtà entrambi sono vittime, come anche le loro famiglie, i sopravvissuti ad atti terroristici che Georges ha incontrato, con cui ha parlato e condiviso attività riparative. Azdyne si sente una vittima e Georges ha compreso che, forse, chi ha perso un figlio terrorista soffra a maggior ragione perché deve convivere con la scelta del figlio di commettere crimini. Posto che non si può quantificare il dolore, l’unica possibilità di sopportarlo risiede nell’azione, come ha spiegato Adzyne che non si attribuisce meriti né coraggio, semplicemente ha lottato tutta la vita sopravvivendo a guerre e cercando di capire.
La speranza risiede nell’impatto che l’agire può avere. E Georges è convinto che, se nella società in generale echeggiano ancora razzismo, intolleranza e islamofobia, in compenso le associazioni delle vittime hanno scelto di non alimentare l’odio.
Se pure oggi la situazione è diversa rispetto a dieci anni fa quando gli attacchi terroristici erano più frequenti, secondo entrambi i padri «i poteri pubblici non stanno adottando politiche soddisfacenti perchè escludono fette di società e questo non aiuta i giovani, soprattutto musulmani, a sentirsi rispettati e a casa loro».
Ancora una volta c’è una lezione da imparare dalla vita che chiede di non smettere di interrogarsi, di agire per il bene e di farlo insieme. I due padri hanno intrapreso un viaggio senza ritorno prendendo per mano tutti noi, il viaggio dal dolore alla speranza di trovare quella pace che si conquista solo con l’ascolto e il rispetto dell’altro.