L’indagine empirica, condotta attraverso la condivisione di un questionario a dieci banche italiane, è stata presentata venerdì 26 maggio all’Università Cattolica. Dopo i saluti di Michele Mozzarelli, direttore esecutivo del Master Cofin, e la presentazione del Report, i risultati dell’indagine sono stati discussi e commentati in una tavola rotonda cui hanno partecipato Fabien Le Tennier, Policy Expert, Sustainable Finance dell’EBA, Giovanni Petrella, dell’Università Cattolica e membro dello Stakeholder Group di ESMA, Stefano Salomone, Ufficio rischi, controlli interni e sostenibilità dell’ABI. Presenti anche alcuni esponenti delle banche direttamente coinvolte nello studio.
L’indagine ha voluto sondare la “percezione” del conduct risk e degli strumenti di gestione dei rischi ESG adottati dalle istituzioni finanziarie, per fare anche una ricognizione delle prassi sino ad oggi attuate dalle principali banche italiane in punto di governance dei fattori di sostenibilità, focalizzando l’attenzione sul ruolo che può svolgere, in chiave strategica, la nozione di condotta del rischio. Questo perché l’attuale dibattito intorno al greenwashing pone all’attenzione dei regolatori e degli operatori i rischi di impropria o apparente applicazione delle norme in materia ESG, rivelando una lacuna di condotta e, in ultima istanza, di cultura del rischio relativa all’attuazione della transizione sostenibile.
Secondo la maggior parte dei rispondenti al questionario, i rischi ESG sono forieri di nuovi rischi di condotta, i quali si profilano in particolare sul fronte della Product Oversight and Governance (POG), vale a dire i processi di allineamento ai prodotti bancari al dettaglio offerti alle preferenze di sostenibilità espresse dalla clientela rispetto a quanto indicato nei questionari MIFID. In generale, i rischi di condotta ESG sono percepiti soprattutto dalla prospettiva della customer protection.
Tra i principali rischi di condotta rispetto alla dimensione ESG si rilevano: 1) rischi di condotta per errata etichettatura di prodotti green; 2) finanziamento di imprese “brown” e connessi rischi reputazionali; 3) rischi di condotta per disclosure non puntuale; 4) green bonds non destinati ad attività green; 5) greenwashing; 6) rischi di condotta nei servizi di investimento; 7) orientamento del questionario in modo da fuorviare la clientela, anche sul fronte del credito.
In questa prospettiva, alcune istituzioni finanziarie hanno istituito una business unit ad hoc, che opera insieme alla compliance, per agire sulle leve degli investimenti e dei finanziamenti alla clientela. Altre, invece, collocano il presidio del conduct risk in materia ESG tra le funzioni di compliance e risk management.
I dati raccolti confermano, dunque, le potenzialità del conduct risk quale strumento di intercettazione di rischi di gestione scorretta dei fattori di sostenibilità, segnalando al contempo la disomogeneità delle metriche di qualificazione e di misurazione dei fattori ESG.
Quanto agli interventi per mitigare rischi di condotta in relazione a prodotti classificati come ESG, si segnalano: misure di classificazione dei prodotti ESG; attività di formazione; prassi di disclosure più chiare; revisione delle procedure interne; una cultura aziendale commerciale e di risk control orientata ai rischi ESG; sviluppo di parametri di riferimento per intercettare condotte incoerenti con le linee ESG; miglioramento della selezione dei prodotti offerti; monitoraggio portafogli e delle singole relazioni.