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Fitto: il Pnrr un volano per il rilancio del Paese

22 aprile 2024

Fitto: il Pnrr un volano per il rilancio del Paese

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«Più che possibile il Pnrr è un doveroso volano per il nostro Paese perché, avviando un Piano con una così imponente mole di risorse a debito, pari a 220 miliardi di euro, se non si mette in campo una qualità della spesa adeguata questo comporterebbe problemi strutturali fondamentali per l’Italia, che ha già di per sé un importante debito pubblico». È una sorta di bilancio su quello che finora l’attuale governo italiano ha realizzato per gestire la quantità di fondi europei ricevuti («la più alta somma rispetto a quella degli altri Stati membri») la lezione aperta che il ministro per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr Raffaele Fitto ha tenuto lunedì 22 aprile agli studenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore nell’ambito di un’iniziativa promossa dalla Facoltà di Scienze politiche e sociali e dal Dipartimento di Scienze politiche dell’Ateneo.

A ribadire la crucialità del Pnrr è il rettore Franco Anelli nel suo saluto istituzionale, che ha preceduto l’intervento del ministro Fitto. «È una misura da economia di guerra», per questo «serve uno sforzo collettivo, e non una sola regia, per mettere a frutto progetti», precisa il rettore Anelli.

Ed è proprio per la piena realizzazione del Pnrr entro i tempi previsti (giugno 2026) che il ministro Fitto spiega le ragioni che hanno portato il governo a rivederne molti obiettivi e una serie di investimenti. «Il Piano per la prima volta inserisce un criterio, complesso e difficile da realizzare ma giusto per il nostro Paese, cioè quello dei target e dei milestone», ovvero degli obiettivi da realizzare, e senza i quali non vi è la possibilità di accedere alle risorse. «Un meccanismo di profonda e forte responsabilizzazione di tutti gli interlocutori del sistema istituzionale del nostro Paese» e basato su due fattori: «il primo, è che nel Piano sono stati inseriti 68 miliardi di euro relativi a progetti in essere, per evitare il rischio che non fossero portati a termini entro il 2026; il secondo fattore riguarda la sua approvazione avvenuta prima dell’invasione dell’Ucraina e, quindi, della crisi energetica».

 

 

Qualche numero citato dal ministro può essere d’aiuto per capire il senso delle scelte governative: con la prima legge finanziaria del governo Meloni a fine 2022 dei 32 miliardi di risorse disponibili ben 21 sono state destinate al sostegno delle famiglie italiane per il pagamento delle bollette. «È stato questo un primo campanello d’allarme importante sulla necessità di andare a utilizzare lo strumento del Pnrr, con la sua revisione, immaginando e individuando scelte che fossero strutturali per investimenti che garantissero il cambio di paradigma del nostro Paese su settori fondamentali».

Infatti, continua il ministro Fitto, «all’interno di questa revisione abbiamo compiuto scelte che tengono conto di alcune priorità. Per esempio, dei 21 miliardi di euro previsti per quei progetti che avrebbero avuto difficoltà a essere rendicontati, oltre 6 miliardi sono destinati alla transizione 5.0 delle imprese. In accordo con Snam, Terna, Enel abbiamo finanziato alcune importanti infrastrutture per rafforzare la capacità elettrica ed energetica del gas. Inoltre, abbiamo messo in campo altri interventi che hanno avuto il merito di modificare alcuni obiettivi e strategie del Pnrr», fondamentali anche ai fini del suo completamento. Secondo il ministro Fitto va tenuto presente che il Piano è «una tantum», per questo «vi è la necessità di costruire azioni sul fronte delle riforme che creino le condizioni affinché il nostro Paese dopo il Pnrr sia in grado di camminare da solo, in settori strategici e fondamentali, adeguando anche le politiche ordinarie agli elementi di riforma inserite nel Piano nazionale di ripresa e resilienza».

Non a caso, puntualizza ancora il ministro, «abbiamo chiesto di inserire, accanto alle 59 esistenti, sette nuove riforme», di cui una «legata al Testo Unico per le rinnovabili», l’altra relativa alla «riforma delle competenze», un tema quest’ultimo che riguarda l’intero assetto della nostra società. Questo perché per attuare le transizioni - ecologica e digitale - e per cambiare strutturalmente la nostra economia «c’è bisogno di un accompagnamento parallelo sul fronte della riforma delle competenze in grado di costruire un sistema educativo che formi giovani preparati per sopperire alle carenze esistenti».

L’Italia è anche uno dei principali beneficiari della politica di coesione. Basti pensare che nella programmazione del 2021-2027 riceverà 43 miliardi di euro in risorse europee, cui si aggiungeranno le quote di finanziamento del fondo di sviluppo e coesione. «Il rischio era quello di avviare tre grandi programmi, tutti di grande dimensione finanziaria ma scollegati tra loro, e tali da procurare nello stesso territorio e nello stesso settore sovrapposizioni se non contraddizioni e contrasti». Pertanto, «il nostro obiettivo è stato evitare tutto questo con lo spostamento del modello di governance del Pnrr nella politica di coesione» poiché «è evidente, che, se vogliamo mantenere una credibilità nell’efficacia degli investimenti, conta sì la realizzazione di un progetto ma anche il tempo in cui viene portato a termine».

Un lavoro di coordinamento che sta dando i suoi risultati. «Con la revisione siamo riusciti a sbloccare nodi seri che ci hanno consentito di avere il pagamento della terza rata, della quarta e in questi giorni siamo in fase di verifica finale per quello della quinta». Non solo. «Dal rapporto di lungo termine che la Commissione europea ha presentato lo scorso febbraio, l’Italia è il Paese con la migliore performance in termini di obiettivi raggiunti fra tutti i piani di ripresa e resilienza degli Stati membri».

Del resto, in questo momento è «responsabilità di tutti mettere a terra bene quello che si ha a disposizione per il rilancio del paese», specifica il preside della Facoltà di Scienze politiche e sociali Guido Merzoni, avviando la tavola rotonda seguita all’intervento del ministro Fitto. Sulla complessità del Piano si sofferma Floriana Cerniglia, direttrice del Centro di ricerca in analisi economica e sviluppo economico internazionale (Cranec), ricordando che si tratta di un documento altresì lungo articolato in più di 200 pagine, contenente 200 misure, sette missioni, 150 investimenti e 67 riforme. Per Cerniglia, tuttavia, l’importanza del Pnrr sta soprattutto nell’aver abbattuto due tabu: il primo, che si può fare il debito europeo per finanziare la spesa; il secondo, che finalmente è stata usata la politica di bilancio, mandando in soffitta il paradigma economico dominante secondo cui la crescita dipende solo dal mercato e non dall’intervento pubblico. Ecco allora quello che per Piero Benassi, già rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione Europea e docente nella Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica, sarà il compito della prossima legislatura europea. Per acquistare sovranità popolare bisognerà prendere una «decisione» sulle risorse economiche e sul loro modello di gestione che dovrà essere fatto non più su «scala nazionale» bensì «europea».

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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