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Jazz e gruppi di lavoro, la comune arte dell'improvvisazione

09 maggio 2025

Jazz e gruppi di lavoro, la comune arte dell'improvvisazione

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Cosa hanno in comune l’esecuzione di un brano jazz e le dinamiche operative di un team aziendale? Sembrano distanti, ma un elemento significativo le unisce: la capacità, attraverso l’improvvisazione, di gestire l’incertezza. Come è noto, l’improvvisazione è una caratteristica fondamentale nella pratica jazzistica, un dialogo al cui interno i musicisti interagiscono e si adattano in tempo reale a ciò che accade, dando vita a un fenomeno noto come “jazz interplay”. 

Analogamente, i gruppi di lavoro nelle organizzazioni spesso improvvisano per adattarsi alle circostanze mutevoli, mostrando prontezza di pensiero, decisioni rapide e familiarità con le soft skill. Per improvvisare al meglio, accanto a queste abilità, è essenziale avere una solida padronanza delle tecniche specifiche. 

Un musicista jazz deve padroneggiare scale, accordi e ritmi, nonché avere familiarità con le pratiche esecutive dei maestri, sia della tradizione sia della contemporaneità. Parimenti, per poter contribuire efficacemente al successo del gruppo e dell’intera organizzazione, i membri di un team di lavoro devono conoscere i processi organizzativi attraverso i quali l’azienda produce beni e servizi. 

Fiducia reciproca e ascolto attivo costituiscono, infine, i due pilastri fondamentali del modo di ‘stare nell’incertezza’ che accomuna jazz e gruppi di lavoro. Infatti, così come i musicisti si affidano l'uno all'altro per creare armonia, nei gruppi di lavoro la fiducia è cruciale per condividere idee e agire in modo sinergico. 
L'ascolto reciproco, poi, consente ai musicisti di integrarsi armonicamente, mentre nei team aziendali permette di comprendere le esigenze dei colleghi, riconoscere i loro punti di forza e debolezza e sviluppare una comunicazione efficace.

Questo, in breve, il contesto teorico che ha ispirato il progetto di ricerca presentato in occasione del convegno “Jazz, Comunicazione e Cultura” che si è tenuto presso in largo Gemelli lo scorso giovedì 8 maggio. Per la sua definizione siamo particolarmente debitori ai lavori di Alessandro Duranti e Kenny Burrell (2005) dell’UCLA e di Marco Mariani (2016), jazzista e docente dell’Università Bocconi. Duranti e Burrell hanno avviato lo studio della dimensione interattiva delle pratiche improvvisative nel jazz, fornendo preziose indicazioni metodologiche per un’analisi antropologica. Mariani ha evidenziato l'importanza per i manager, in situazioni ambigue e destrutturate, di riferirsi ai principi dell’improvvisazione jazzistica, traendo vantaggi significativi per profilare i ruoli di leadership, sincronizzare le attività dei collaboratori tramite ascolto e dialogo, valorizzare gli errori come opportunità e, infine, promuovere le diversità per stimolare creatività e innovazione.
 

 

A partire da questa duplice prospettiva, con il progetto di cui sono state presentate le prime risultanze, ci siamo proposti di spostare la frontiera un po’ più in là, puntando a esplorare l’improvvisazione jazzistica in riferimento alle pratiche psicosociali che la sostengono e ne costituiscono la fenomenologia.

L'obiettivo del progetto – reso possibile grazie alla collaborazione con i Civici corsi di Jazz della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado di Milano – è costituito da una esplorazione etnografica condotta su materiali di varia natura. Venti ore di materiale videoregistrato – lezioni di improvvisazione e di musica di insieme, prove e esibizioni dal vivo in cui complessivamente sono stati coinvolti circa cinquanta tra musicisti in formazione e professionisti affermati – oltre che materiali derivati da questionari, interviste, diari e note di campo prodotte attraverso l’osservazione partecipante, costituiscono i materiali su cui, insieme ad alcuni colleghi della Civica, sta lavorando un’équipe di ricercatori di PsiCom e del Dipartimento di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo dell’Università Cattolica. 

Al momento è in corso un lavoro di catalogazione, descrizione e interpretazione delle principali mosse dialogico-conversazionali che accompagnano i processi improvvisativi sui due versanti precedentemente citati, quello musicale e quello dell’interazione sociale. Particolare attenzione viene posta all’intreccio di materiali musicali - elementi di natura melodica, armonica e ritmica – e comunicativi – parole, gesti e movimenti nello spazio da parte dei musicisti durante la performance esecutiva. Lavoro non facile che sta impegnando ricercatori e musicisti in un dialogo serrato i cui primi frutti sono stati presentati in occasione della giornata di studio, rimandando al prossimo anno la presentazione di un vero e proprio rapporto di ricerca. 

Il convegno è stato anche luogo di confronto sui motivi che hanno fatto dei luoghi e degli eventi del jazz a Milano occasioni di promozione di culture musicali sempre più in sintonia con le dinamiche della città. 

La giornata ha trovato compimento nell’incontro con Enrico Intra, pianista di fama internazionale e fondatore dei Civici Corsi di Jazz, che, ripercorrendo le tappe della sua carriera, ci ha aiutati a capire come il jazz sia diventato modalità privilegiata di comunicazione e relazione tra le culture.
 

Un articolo di

Carlo Galimberti

Carlo Galimberti

docente di Psicologia sociale della comunicazione, Facoltà di Lettere e filosofia

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