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L’attualità della “Pacem in terris” in un mondo multipolare

13 settembre 2023

L’attualità della “Pacem in terris” in un mondo multipolare

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La pace non è solo assenza di conflitto ma è soprattutto esercizio di verità, giustizia, libertà, solidarietà, i quattro pilastri indicati da Giovanni XXIII in quello che è diventato il suo testamento spirituale: la Pacem in terris. Principi che, restano sorprendentemente validi anche a distanza di sessant’anni e in un mondo multipolare, ben diverso dalla situazione geopolitica fotografata dall’enciclica di papa Roncalli, che aveva nell’Europa e nell’Occidente il suo baricentro. Sono alcune interessanti suggestioni emerse lunedì 11 settembre dalla giornata inaugurale del seminario di studio dei docenti di Teologia e degli assistenti pastorali dal titolo “Artefici e custodi della pace”, in programma fino a giovedì 14 settembre nella Residenza del Seminario Vescovile di Bergamo.

 

 

Un pomeriggio di lavoro intenso che, alla luce del documento giovanneo, ha avuto l’intento di individuare «percorsi didattici» e «strumenti appropriati» per fare in modo che tutti, e in particolare le giovani generazioni, possano partecipare alla costruzione della pace. «Sui temi epocali della pace, della tecnologia, delle scienze che indagano sull’umano si ha l’impressione che la riflessione teologica sia considerata irrilevante», ha scritto l’arcivescovo di Milano e presidente dell’Istituto degli Studi Superiori Giuseppe Toniolo monsignor Mario Delpini, nel saluto rivolto agli oltre 70 docenti di Teologia e assistenti pastorali dei cinque campus dell’Ateneo che hanno preso parte all’iniziativa. Eppure, «l’alleanza tra la proposta teologica e i diversi ambiti della ricerca significa professare la certezza e esibire l’esperienza che la scienza è più “scientifica” se custodisce il riferimento a un senso trascendente la scienza e che la politica per la pace è più “politica” e l’economia è più “economica” se fa riferimento alla dottrina sociale della Chiesa».

Un impegno, quello per la pace, che chiama in causa soprattutto le università che hanno il compito fondamentale di educare alla convivenza pacifica. Ne è convinto il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli, che ha letto un passaggio della Pacem in terris, a suo giudizio «appropriato per il ruolo che ha il nostro Ateneo in questa particolare congiuntura storica», quello in cui San Giovanni XXIII afferma che “non basta essere illuminati dalla fede ed accesi dal desiderio del bene per penetrare di sani principi una civiltà e vivificarla nello spirito del Vangelo”, ma occorre essere “scientificamente competenti, tecnicamente capaci, professionalmente esperti” (Pacem in terris, n. 77). In questo cammino verso la pace, a ribadire il ruolo cruciale di atenei e luoghi di cultura è stato monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica e presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università. «Come Ateneo dei cattolici italiani ci sentiamo particolarmente sollecitati a mettere al centro della nostra riflessione e dei percorsi didattici l’educazione alla pace fornendo competenze e strumenti appropriati sia dal punto di vista valoriale sia per quanto concerne la gestione dei processi culturali, economici, ambientali e politici. Assieme al Santo Padre, anche tutti noi, sentiamo l’esigenza di non tradire l’anelito alla pace delle nuove generazioni e di dare loro la possibilità di essere davvero costruttori di pace».

Sulla centralità dell’educazione, «che lascia tracce profonde», è ritornato anche il vescovo di Bergamo monsignor Francesco Beschi. Ringraziando il centro pastorale dell’Università Cattolica per aver intitolato un convegno al magistero e all’opera di pace di Giovanni XXIII in occasione del sessantesimo anniversario della pubblicazione della enciclica ma anche della sua morte, monsignor Beschi ha ricordato come nella formazione della personalità del Papa buono fondamentale fosse stato il legame profondo con la sua famiglia e la sua diocesi. D’altronde, la Pacem in terris è il frutto di un «cammino coerente» con «un’azione pastorale improntata alla pace», ha osservato don Ezio Bolis, direttore della Fondazione Papa Giovanni XXIII, soffermandosi sulle tre tappe che hanno condotto alla stesura di un documento la cui carica innovativa resta ancora oggi indiscutibile. Basti pensare ad alcuni passaggi come quello in cui richiama il ruolo delle donne a servizio della pace, la condanna della corsa agli armamenti o l’invito a partecipare attivamente alla vita pubblica per contribuire all’attuazione del bene comune.  

 

 

Un modo per dire che c’è un “artigianato della pace” che coinvolge tutti. In questo senso un contributo importante può arrivare dall’Europa, a patto che sia unita e coesa. Essa, infatti, «è la condizione imprescindibile per una pace duratura», ha detto monsignor Mariano Crociata, presidente della Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione Europea (Comece), prendendo parte alla tavola rotonda “Costruttori di pace: dalla Pacem in Terris alle sfide di oggi”, moderata dal direttore di Rai Vaticano Stefano Ziantoni. «L’Europa ha bisogno di un progetto politico di unità in cui tutti i paesi trovino qualcosa delle proprie aspirazioni e lo spazio per dare il loro contributo originale». Nel cammino verso l’unità un ostacolo è rappresentato dal «processo di sfiducia da parte dei cittadini» anche nei confronti di una istituzione che ha perso la sua «forza attrattiva» per via dei troppi «tecnicismi burocratici».
 
Una perdita di fiducia nelle istituzioni internazionali che affonda le sue radici «in un contesto multipolare, in un mondo popolato da potenze non democratiche», ha specificato Damiano Palano, direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica, dove dirige anche il centro per lo studio della democrazia Polidemos. «Proprio per questo, per progettare e costruire la democrazia di un mondo post-occidentale e post-coloniale dovremo evitare di leggere la politica globale di oggi (e di domani) con le categorie ereditate dal Ventesimo secolo. E forse dovremmo tornare a considerare come prioritario quell’obiettivo che la Pacem in Terris indicava: “il riconoscimento, il rispetto, la tutela e la promozione dei diritti della persona”».

Ancora una volta è l’ambito educativo che può creare le condizioni per una cultura condivisa della pace. Un esempio concreto arriva da un borgo medievale della Toscana, nei pressi di Arezzo, che ospita uno studentato internazionale dove convivono l’uno accanto all’altro coppie di giovani nemici. È l’esperienza di Rondine, cittadella della pace, messa in piedi da Franco Vaccari, ha raccontato il senso dell’iniziativa anche con l’aiuto della testimonianza della giovane russa Irina. «La pace comporta sempre un prezzo e la nostra sfida è far vivere due anni insieme israeliani e palestinesi, russi e ucraini, serbi e kosovari. Questo perché gli ”artigiani della pace” si nutrono della relazione concreta e del dialogo con l’altro. Infatti, il conflitto solo se gestito produce giustizia. Altrimenti, lasciato a se stesso, «degrada generando ogni tipo di male».

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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