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La Commedia per Contini e Dionisotti: una “poesia” che ci interroga ancora oggi

06 maggio 2021

La Commedia per Contini e Dionisotti: una “poesia” che ci interroga ancora oggi

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Due grandi maestri della cultura italiana, Gianfranco Contini e Carlo Dionisotti, sono stati i protagonisti del sesto incontro del ciclo “Grandi maestri di fronte a Dante” moderato dal professor Nicolangelo D'Acunto.

A Claudio Ciociola, professore emerito della Scuola Normale di Pisa, è toccato il compito di mettere in evidenza come la lunga fedeltà di Contini a Dante si fosse iniziata e conclusa con due contributi fondamentali legati ai testi dell'Alighieri. Tale è il precocissimo quanto fortunato commento alle Rime pubblicato da Einaudi alla fine del 1939, ma già pronto nell’estate del 1938, quando il curatore aveva solo ventisei anni; all’edizione e al commento del Fiore e del Detto d’amore Contini si dedicò negli ultimi anni della sua vita, fornendo argomenti importanti per la loro attribuzione a Dante. Per quanto riguarda la Commedia, invece, Ciociola vede una sorta di rielaborazione della distinzione crociana tra poesia e non poesia, quando Contini distingue tra la struttura generale dell'opera, lontanissima dalla sensibilità dei moderni, e la perdurante fascinazione esercitata dalla pagina dantesca a prescindere dall'ordito della fabula o, per usare le parole dello stesso studioso "dello scarto tra il ‘libretto’ remotissimo e l’enorme attrazione di ogni pagina singola, stralciata e letta in rallentato". Proprio per questo Contini, pur avendo rivestito un ruolo di assoluto rilievo nella dantistica ufficiale, si mostrava freddo verso gli arabeschi della tradizione esegetica di matrice positivistica, messa alla berlina nell'associazione dei Dentisti-Dantisti di pasoliniana memoria, che secondo lui rischiava di compromettere l'immediatezza con cui il lettore contemporaneo si accosta alla Commedia.  Per Contini secondo Ciociola la Commedia andava letta come un "libro di poesia, se non proprio livre de chevet, e non in quanto inderogabile e fastidioso penso imposto dalla tradizione".

Un articolo di

Antonella Olivari

Antonella Olivari

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La seconda parte dell’incontro è stata dedicata a Carlo Dionisotti che pur senza essere “dantista” di professione, ha scritto pagine di grande importanza, forse più significative di tante scritte da chi si professa dantista di mestiere, che ci guidano a verificare la presenza degli scritti di Dante nella letteratura italiana tutta, la capacità dell’opera e della figura di Dante di creare, in un ampio arco di secoli, consenso o dissenso, di plasmare una nuova letteratura e anche una nuova critica. Ad affermarlo è Giuseppe Frasso, professore emerito di Filologia della letteratura italiana: “si potrebbe dire che Dionisotti si è impegnato a chiarire quella che sarei tentato di definire “l’azione del reagente Dante” nella letteratura italiana, ovviamente così come è stata da Dionisotti ricostruita, con attenzione particolare alla storia e alla storia della cultura”.

L’ultimo centenario dantesco [1965] ha dimostrato che a un Dante umanista nessuno più crede. Non si insisterà mai abbastanza sul divario fra Dante e il Petrarca, e più largamente fra la Toscana onde Dante uscì quando aveva passato il mezzo del cammino di sua vita, e l’Italia settentrionale, dove si trovò esule, e la corte avignonese che egli non conobbe e detestò e dove crebbe e si formò il Petrarca. Ma anche non si insisterà mai abbastanza sul divario nel paesaggio storico provocato dal terremoto della Commedia.

Le prime edizioni della Commedia, per la loro frequenza e disposizione geografica, avevano già segnalato l’importanza dell’opera di Dante nel quadro della cultura quattrocentesca italiana, non soltanto fiorentina. L’edizione veneziana del 1477 aveva aggiunto il riconoscimento della scuola: non bastava leggere, bisognava intendere verso a verso colla scorta di un commento.

Frasso ha ripercorso l’intreccio di conoscenze storiche, dottrina letteraria, erudizione fattuale rendendo della quantità e qualità degli interventi di Dionisotti su Dante. Ha infine messo in evidenza come lo studioso abbia saputo trasmettere il senso di una presenza viva di Dante e dell’opera sua nella tradizione culturale e letteraria italiana, una presenza che ha interrogato tante generazioni prima di noi e che ancora oggi ci interroga e che, grazie anche a quanto Carlo Dionisotti ha insegnato, continua a impegnare la nostra mente per capire il passato e per vivere, in modo responsabile, il presente.

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