(Letture: Gn 49,2.8-10; Sal 71; Mt 1,1-17)
Prepararsi al Natale nel contesto della vita universitaria ha un particolare significato e ci offre l’opportunità di comprendere il senso più profondo della stessa ispirazione cristiana che guida fin dall’inizio questa importante Istituzione. Nella Costituzione apostolica Ex corde ecclesiae San Giovanni Paolo II ricorda che le comunità accademiche cattoliche «sono un segno vivente e promettente della fecondità e dell'intelligenza cristiana nel cuore di ogni cultura». Esse alimentano la «fondata speranza di una nuova fioritura della cultura cristiana nel molteplice e ricco contesto del nostro tempo in mutazione, il quale si trova certamente di fronte a gravi sfide, ma è anche portatore di tante promesse sotto l'azione dello Spirito di verità e di amore» (n. 2). In questo orizzonte, è bello fermarsi come comunità accademica o, meglio, come famiglia universitaria – qui riunita in tutte le sue componenti: autorità accademiche, professori, assistenti pastorali, studenti e personale tecnico-amministrativo – per condividere qualche riflessione e per prepararci al Santo Natale a partire dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato.
Oggi iniziamo la novena che segna la preparazione prossima alla celebrazione del Natale e abbiamo ascoltato il Vangelo che racconta la nascita del Signore Gesù, secondo la versione di Matteo, particolarmente attento alla genealogia di Gesù e alla figura di Giuseppe. È una narrazione toccante che ha al centro la cura che Maria e Giuseppe, secondo la vocazione ricevuta e l’indicazione degli angeli, riservano al bambino Gesù nello stupore di tutto il creato e di fronte a tutti coloro che accorrono a rendere omaggio all’Emmanuele, il Dio con noi, il nostro Salvatore. In quel bambino si rivela la sapienza di Dio e in lui c’è il principio di ogni vera scienza che sa leggere nella storia e nella realtà l’opera del Creatore e del Redentore. Guardiamo anche noi al bambino Gesù con lo stesso atteggiamento indicato da San Paolo nella lettera ai Colossesi e cioè: «arricchiti di una piena intelligenza per conoscere il mistero di Dio che è Cristo: in lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza» (Col 2, 2-3). Questa immagine natalizia, tanto toccante quanto eloquente, può essere ben riferita anche al lavoro accademico perché richiama la cura che i docenti sono tenuti ad avere nei confronti degli studenti, offrendo non solo nozioni e conoscenze scientifiche, ma soprattutto accompagnamento per una crescita integrale dal punto di vista umano, intellettuale e spirituale. È uno stile educativo che qualifica e caratterizza la missione formativa dell’Ateneo nel suo insieme, come comunità educante, e l’impegno personale di ciascun membro.
Permettetemi oggi di osare un confronto ardito accostando il sogno di Giuseppe al sogno di P. Agostino Gemelli che vedeva nella Facoltà di Medicina e chirurgia e nel Policlinico Universitario, che oggi giustamente porta il suo nome, il sogno di tutta la sua vita. Giuseppe guidato in sogno dall’angelo ha accolto il Verbo della vita, in cui risplendono la verità e la carità di Dio, P. Agostino Gemelli ha voluto che in questo luogo nascesse una istituzione che fosse il germoglio, oggi albero maturo, della testimonianza della carità cristiana e della ricerca appassionata della verità da trasmettere alle nuove generazioni. Come non vedere nel Campus solidale di Roma un’ideale continuazione tra il sogno di Giuseppe e il Sogno di Gemelli, entrambi incentrati sul miracolo della fede nelle cose grandi che il Padre ha compiuto e continua a compiere nella storia attraverso il suo Figlio Gesù Cristo e lo Spirito Santo? Non è forse questo il senso più vero e profondo dei festeggiamenti per i 60 anni del Natale del Policlinico Gemelli?
Tutto questo ci ricorda che è compito di questo Ateneo, in forza della sua visione autenticamente cattolica, garantire un solido nutrimento culturale che sia sempre animato dalla ricerca della verità e finalizzato all’esercizio della carità. Non si tratta solo di conservare e trasmettere con competenza il patrimonio del passato ma occorre essere creativi e fecondi come ha ricordato di recente il Santo Padre alla Plenaria del Dicastero per la cultura e l’educazione: «Il mondo non ha bisogno di ripetitori sonnambuli di quello che c’è già; ha bisogno di nuovi coreografi, di nuovi interpreti delle risorse che l’essere umano si porta dentro, di nuovi poeti sociali». E ha esortato a vivere la «missione nel campo educativo e culturale come una chiamata ad allargare gli orizzonti, a traboccare di vitalità interiore, a fare spazio a possibilità inedite, a elargire le modalità del dono che solo diventa più ampio quando viene condiviso» (Francesco, 21 novembre 2024).
Un impegno così grande potrebbe spaventarci, ma sappiamo di poter contare su una risorsa straordinaria: il sostegno e la guida del Sacro Cuore a cui la nostra istituzione è consacrata. È da questa sorgente inesauribile di carità e di verità che sgorga continuamente l’energia necessaria per affrontare sfide formative e impegni culturali così elevati ed esigenti. La passione educativa trova nell’immagine e nella realtà del Sacro Cuore un fondamento non estraneo o improprio, ma quanto mai efficace e pertinente per «mantenere alto ed onorato il suo vessillo, nel quale campeggia il motto: “In scientia religio et in religione scientia”» come scriveva Pio XI a P. Gemelli agli albori dell’Ateneo (Lettera “Con vivo compiacimento”, 22 aprile 1922). Alla inesauribile sorgente di amore e di sapienza che scaturisce dal Sacro Cuore ci invita a guardare anche Papa Francesco nella sua ultima lettera enciclica Dilexit nos. Forse pochi lo hanno notato, ma nel testo siamo citati anche noi nella nota n. 64 dove si riporta un passaggio di un’omelia del Santo Padre (27 giugno 2014). Da questo importante e ampio documento dedicato proprio al Cuore di Cristo possiamo ricavare preziose indicazioni anche per la vita e la missione di questo Ateneo. Occorre davvero “ritornare al cuore” (cfr. nn. 9-16) come ci esorta Papa Francesco consapevoli che «la migliore risposta all’amore del suo Cuore è l’amore per i fratelli; non c’è gesto più grande che possiamo offrirgli per ricambiare amore per amore» (n. 167). Questo riferimento al Cuore di Cristo, ci ricorda il Pontefice, non è meno importante di quanto affrontato nelle precedenti encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti, perché solo «abbeverandoci a questo amore, diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune» (n. 217).
E quanto oggi abbiamo bisogno di parole di consolazione e di speranza per fermare le guerre e costruire relazioni giuste e pacifiche, per contrastare le disuguaglianze che affliggono milioni di persone, per affrontare in modo deciso i crescenti squilibri ambientali che minacciano il futuro del Pianeta? Intense e bellissime le parole del salmo con cui abbiamo pregato: «Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia. Ai poveri del popolo renda giustizia, salvi i figli del misero» (Sl 71). Con questo desiderio di pace e di giustizia ci prepariamo a vivere un Giubileo improntato alla speranza che ci auguriamo possa imprimere una svolta al cammino spirituale di tutti noi e della comunità ecclesiale. Ma siamo fiduciosi che possa anche rappresentare una formidabile occasione per tutta l’umanità affinché si realizzi una svolta sociale e culturale in grado di ridare coraggio e speranza a tutti e in particolare a chi è più provato e sofferente. Come afferma Papa Francesco nella Bolla di indizione: «i segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza» (n. 7).
L’Università Cattolica del Sacro Cuore può dare un prezioso contributo per far germogliare e maturare “segni di speranza”. Lo fa con l’attività accademica ordinaria aiutando tanti giovani a forgiare le loro personalità e ad acquisire importanti competenze da mettere a servizio del bene comune. Ma non meno importanti sono tutte le collaborazioni che l’Ateneo offre in vari ambiti alle diverse realtà sociali, culturali ed economiche nel contesto della terza missione e, in particolare, alle realtà ecclesiali, tra cui anche la Santa Sede e la Chiesa Italiana. Resto spesso stupito per tutto quello che viene fatto, soprattutto in questa sede romana dal punto di vista socio-sanitario con grande generosità e competenza. Mi sembra, inoltre, davvero significativa la scelta di dedicare una particolare attenzione al tema giubilare della speranza con la programmazione di momenti di riflessione ed eventi da parte di tutte le Facoltà e di porre attenzione al continente africano come tema centrale per l’apertura dell’Anno Accademico e la celebrazione del Dies Academicus nelle diverse sedi. È un gesto importante che ci sollecita a volgere lo sguardo verso un continente a noi prossimo, segnato da tante ferite, eppure portatore di grandi speranze, dove sono, per altro, già operativi numerosi progetti formativi e solidaristici sostenuti dall’Ateneo.
Questo sguardo verso gli ultimi e gli smarriti, proprio del Natale, è quello che ha guidato il Padre celeste nel farci dono del Figlio, fattosi piccolo, umile e povero in mezzo a noi con l’assunzione della nostra condizione umana e nascendo nella stalla di Betlemme. Chiediamo al Signore di poter continuare il cammino accogliendo con gioia il Signore Gesù che continua a porre la sua tenda in mezzo agli uomini per ridare fiducia e speranza ad ogni creatura e per ricolmare di senso anche l’importante missione che, come Ateneo dei cattolici italiani, siamo chiamati a svolgere in questo tempo certamente difficile e complesso ma non privo di segni di speranza affidati anche alla vostra cura. Maria e Giuseppe ci aiutino ad accogliere e custodire il Verbo della vita da cui riceviamo in abbondanza doni di vera sapienza, verità e grazia. Amen.