«Il Sistema sanitario è sottofinanziato, disordinato e la crisi è acuita dalla crescita della povertà nel Paese - ha detto Giorgio Bordin, presidente di Medicina e Persona - e c'è grande consapevolezza del fatto che questa situazione si è innescata dalla pandemia. Ma è evidente, che le sue radici sono molto più lontane nel tempo. Non è un tema solo italiano, ma c'è bisogno di un passo nuovo. Tutti invocano una riforma, che però secondo noi non basta. Serve una rifondazione. Il tema è culturale, non è solo un problema di risorse. Purtroppo si fa fatica a far passare questo messaggio».
«La salute è un bene comune - ha ricordato Stefano Zamagni, docente di Economia politica dell'Università di Bologna - che non può essere ridotto al dualismo pubblico/privato. Occorrre un modello di tipo comunitario, come affermato dall'OMS. A garantire la salute, oltre al sistema sanitario, intervengono altri quattro fattori causali: gli stili di vita, le condizioni di lavoro, la tutela ambientale e la struttura sociale. La famiglia, come dicevano gli antichi è il primo medico».
Il punto di svolta in negativo della crisi - ha aggiunto Zamagni - può essere collocato nel biennio 1992-93 ,quando con un decreto le USL furono trasformate in ASL. Da "unità" divennero "aziende" a cui veniva imposto il concetto di efficienza con l'obbligo di minimizzare i costi di produzione dei servizi. Il modello organizzativo dei nostri ospedali, purtroppo, è ancora tayloristico. Pensato per la fabbrica è stato impiantato nei nosocomi. Questo vuol dire non flessibilità, non scalabilità e non modularità. Le ricadute le abbiamo viste con il Covid: se un reparto va in crisi, innesca una crisi a catena. Per questo è fondamentale battersi per una sanità plurale. Creare un modello tripolare che metta in interazione pubblico, privato e società civile. La sentenza della Corte Costituzionale sull'amministrazione condivisa ha affermato che la programmazione viene prima della co-progettazione, ovvero che è l'individuazione delle priorità ad avere la precedenza sui progetti da attuare. Questo pronunciamento rappresenta un architrave giuridico che ci può aiutare in questa battaglia di civiltà».
All'incontro, moderato dal presidente del Banco Farmaceutico Sergio Daniotti, è intervenuto anche Domenico Giani, presidente della Confederazione Nazionale delle Misericordie d’Italia: «Il nostro è un esercito del bene, che con cura e coraggio colma lacune strutturali in spirito di servizio e qualità, perché la tutela della salute di ogni persona non è solo un diritto ma anche un dovere. Il volontariato in Italia coinvolge 6 milioni di persone. A livello numerico rappresenta la quarta economia del Paese, senza contare la dimensione morale, che non ha prezzo e classifica».
«È necessario riconoscere il ruolo della società civile - ha detto in chiusura il professor Pesenti - in Italia ci sono oltre 12mila associazioni, eredi di una tradizione che affonda le radici nel Medioevo. Tra queste 4mila organizzazioni effettuano un servizio sanitario solidale, si occupano dei poveri e sono fondamentali per il Diritto alla Salute perché prestano un'opera di qualità. Solo a Milano assistono circa per 60mila persone l'anno. Il volontariato non può continuare a rimanere confinato nella nicchia romantica in cui si trova, ma va riconosciuto come un pezzo del nostro SSN».