NEWS | premio

A un ricercatore della Cattolica il premio Certamen Capitolinum

04 maggio 2023

A un ricercatore della Cattolica il premio Certamen Capitolinum

Condividi su:

La raffigurazione di Roma come dea armata è l’immagine riprodotta sulla medaglia commemorativa del premio Certamen Capitolinum, realizzata dalla giovanissima artista Michela Marro Filosa sulla base di un ritratto su vetro dorato ritrovato durante i recenti lavori per la nuova linea della metropolitana di Roma. Quest’anno la medaglia del prestigioso riconoscimento alla LXXIV edizione - conferito dall’Istituto Nazionale di Studi Romani per premiare studi sulla lingua e la cultura latina, capaci di offrire una prospettiva penetrante sulla storia di Roma e la sua civiltà, e composizioni originali in latino, in prosa e poesia – è andata Antonino Pittà, vincitore per la sezione dei ‘giovani’ (meno di 35 anni). Ricercatore di Lingua e letteratura latina all’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Milano, il giovane studioso è stato premiato per il suo commento ai carmi pubblici del primo libro delle Silvae di Stazio (si tratta del primo di due volumi, il secondo dei quali è ora in fase di stampa).

Con lui sono state premiate due eccellenze della filologia: la professoressa Silvia Condorelli, dell’Università Federico II di Napoli, vincitrice nella sezione dei ‘veterani’ con un lavoro su Catullo nella poesia tardoantica, e il professor Paolo Fedeli, emerito dell’Università Aldo Moro di Bari, uno dei massimi studiosi di elegia romana e cultura augustea, insignito del premio Cultori di Roma. La premiazione è avvenuta a Roma, alla presenza del sindaco Roberto Gualtieri, il 21 aprile in occasione del 2776° anniversario del Natale di Roma nell’Aula Giulio Cesare in Campidoglio, con l’organizzazione dell’Istituto Nazionale di Studi Romani e il sostegno di Roma Capitale e del ministero della Cultura.

Antonino Pittà, molisano di origine, prima di approdare in Cattolica è stato allievo alla Scuola Normale Superiore del Corso ordinario e poi di quello di Perfezionamento in Scienze dell’Antichità negli anni 2008 e 2016. Ha già al suo attivo una ricca e brillante produzione in importanti sedi editoriali internazionali che lo ha reso ben conosciuto in Italia e all’estero per studi di critica testuale e analisi filologica di testi latini del I sec. a.C e del I sec. d.C. Ha curato edizioni commentate di Varrone e di Stazio.

Il volume premiato è P. Papinius Statius, Silvae. Liber I. I carmi di Domiziano. Volume I: Introduzione al ciclo, epistola prefatoria, carme 1 a cura di Antonino Pittà, Firenze (Le Monnier) 2021. «Si tratta di tre poemetti dedicati a un soggetto politico: l’imperatore Domiziano e i suoi collaboratori, celebrati per le grandiose iniziative architettoniche e gli spettacolari eventi pubblici che allestiscono», spiega il ricercatore della Cattolica. «Sono testi difficili, da decifrare con attenzione, non solo per la difficoltà della lingua in cui sono scritti, ma anche perché parlano di realtà – il paesaggio del foro romano, rapporti sociali, forme di scambio culturale – per noi quasi del tutto scomparse. Per leggere davvero questi testi bisogna intraprendere un’investigazione e sfruttare ogni sfumatura del testo come un indizio parlante. Infine, bisogna superare tanti pregiudizi: ad esempio, contro il genere dell’encomio, bollato fino a pochi decenni fa come un vile atto di cortigianeria, o contro Domiziano stesso, appiattito da una lunga tradizione sullo stereotipo del tiranno. La motivazione ufficiale della Commissione menziona appunto la precisione del lavoro di indagine svolto sul testo e l’efficacia del saggio introduttivo nel ricostruire un profilo diverso della figura di Domiziano».

Non a caso la motivazione del premio parla di un “ricchissimo commento, esemplare per rigore filologico, acribia linguistico-stilistica, dottrina esegetica, ampiezza di visione letteraria e concettuale”, che trova l’impianto formativo in un percorso iniziato alla celebre Normale di Pisa. «Ho studiato all’Università di Pisa e alla Scuola Normale di Pisa, dove ho svolto il Corso ordinario e poi il Perfezionamento, nelle discipline classiche. A Pisa, sotto la guida dei professori Gian Biagio Conte e Gianpiero Rosati, ho imparato, molto più che nozioni peregrine e titoli di bibliografia, ad avere un atteggiamento di curiosità totale: i seminari e le lunghe chiacchierate con maestri ed amici mi hanno insegnato a non fidarmi mai delle soluzioni più semplici e a interrogarmi sempre sugli aspetti più problematici e oscuri della tradizione classica».

Nel segno della continuità il passaggio all’Università Cattolica. «Da questo punto di vista, non è stato uno stacco radicale ma piuttosto un’armonica prosecuzione. Anche qui ho incontrato lo stesso spirito di intraprendenza e lavoro a tutto campo sui testi, grazie a iniziative di crescita comune come i seminari, alla pronta disponibilità di colleghi e maestri, sempre carica di preziosi consigli (un ringraziamento speciale va ai professori Antonietta Porro e Luigi Galasso), e alla presenza di studenti motivati, brillanti, creativi e, allo stesso tempo, rigorosi. Ho iniziato il mio percorso in Cattolica da assegnista; da circa un anno sono ricercatore e titolare del Corso di Letteratura latina per la Triennale: una nuova sfida, appena agli inizi ma già appassionante».

In Cattolica non mancano ulteriori prospettive di impegno scientifico per la prosecuzione degli studi. «Mi interesso soprattutto di critica testuale, il ramo in apparenza più tecnico della filologia. In realtà, ho sempre cercato di usare la discussione del testo con tutti i suoi problemi – corruttele di tradizione, passi oscuri, ambiguità da sciogliere, allusioni da decifrare – come punto di partenza per uno scavo negli ‘strati’ dal patrimonio classico. Per questo mi piace lavorare soprattutto a edizioni commentate: dover spiegare un testo richiede di padroneggiare la lingua dell’autore, conoscere le sottigliezze del latino, con i suoi vari registri, approfondire il contesto storico e sociale dell’opera, cogliere i rimandi alla letteratura precedente».

Insomma, dall’analisi di un singolo verso, talvolta di una sola parola, si possono estrapolare interi capitoli di storia della letteratura e della civiltà romana: «Oltre a Stazio, ad esempio, ho commentato i frammenti di un’opera di Varrone, il de vita populi Romani, e sono membro di un progetto di ricerca internazionale sull’antiquaria romana (FRRAnt, diretto da Valentina Arena, UCL): tutti testi che attivano collegamenti anche con la linguistica, il diritto, l’archeologia, la storia sociale, gli studi sulla memoria culturale. Lo stesso si può dire della traduzione in italiano dell’opera di Solino, parte di un progetto diretto dal professor Giuseppe Zecchini. Solino è autore di un manuale tardoantico di geografia, dove l’enciclopedia di Plinio e altre fonti sono sfruttate come ‘classici’ da sintetizzare – un’operazione capace di far nascere anche in noi riflessioni sulla difficile didattica della letteratura antica».

Di recente il dibattito sulle cosiddette “lingue morte” è tornato in auge grazie ad un intervento di Massimo Gramellini sul Corriere della Sera nel quale scriveva che “latino e greco sono codici a chiave, insegnano a chiedersi il perché delle cose. Chi impara a districarsi fra Tacito e Platone assimila una tecnica che potrà applicare a qualunque ramo del sapere e della vita”. In effetti, osserva Pittà, «i testi che ho commentato toccano tematiche interessanti anche per un pubblico di lettori generici. I frammenti di Varrone, ad esempio, riguardano questioni attuali: in che modo una civiltà immagina, riscrive, idealizza o ripudia il proprio passato? Come il contesto politico influenza lo studio delle epoche precedenti? Quanto a Stazio, le sue Silvae si prestano a riflessioni su temi per noi centrali: il rapporto fra parola e immagine; la creazione del contesto; l’autorappresentazione del potere; il trauma di un cambio di regime. Le possibilità aperte dalla lettura di questi testi non sono perciò esclusiva dei classicisti: solo per fare un esempio, il giorno della premiazione ho discusso del carme 1.1 delle Silvae – una fonte importante sul foro romano in età imperiale – con il Direttore della Casa dell’Architettura a Roma. Resta vero, però, che la comprensione di questi temi generali passa necessariamente attraverso il filtro della lingua, e solo grazie allo studio della lingua e delle sue sfumature si possono cogliere i nodi concettuali maggiori».

Di qui la considerazione conclusiva dello studioso: «I risvolti attuali dei testi classici – che sono moltissimi e spesso sorprendentemente originali – emergono appieno soltanto attraverso il commento linguistico: solo partendo dal latino si evita che le sorprese più stuzzicanti dei testi classici siano lost in translation. E poi, perché privarsi per scelta di una cosa bella?».

Un articolo di

Agostino Picicco

Agostino Picicco

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti