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Afghanistan, per non dimenticare: speranze e scenari

03 marzo 2022

Afghanistan, per non dimenticare: speranze e scenari

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«In Europa siamo tornati di fronte a una guerra. E questo, al di là dell'amarezza, ci ricorda come nulla è irreversibile. Niente è scontato, specie se viene meno il nostro impegno. Tutte le conquiste sono reversibili. E forse è un bene perdere questa spocchia, più o meno consapevole, che abbiamo noi europei».

Con questo monito, il direttore dell’Alta Scuola in Economia e relazioni internazionali Vittorio Emanuele Parsi, ha introdotto la tavola rotonda “Quali prospettive e speranze per il popolo afghano dopo il ritiro militare occidentale?” che ha inaugurato, mercoledì 2 marzo, la mostra fotografica ospitata dall’Ateneo (aperta fino al 25 marzo presso il Cortile d’Onore della sede milanese di largo Gemelli) dedicata all’avventuroso viaggio intrapreso nel 1939 dalle giornaliste svizzere Ella Maillart e Annemarie Schwarzenbach da Ginevra a Kabul. Un’occasione per parlare ancora di Afghanistan, per non abbassare i riflettori su un Paese martoriato da decenni di guerra.

«Fuori dall'Europa – ha ricordato il prof. Parsi - noi occidentali non abbiamo la coscienza così pulita. I principi della libertà e dell'uguaglianza devono essere estesi in ogni parte del mondo. I regimi politici sono una cosa i popoli sono un'altra. È sempre utile ricordare il vecchio adagio secondo cui fino a quando l'ultimo, il più fragile, non è al sicuro, non lo è nessuno».

E allora ecco che, come ha ricordato nei suoi saluti Sabrina Dellafior, Console generale di Svizzera a Milano, è molto importante, soprattutto adesso, un momento di riflessione sulla situazione attuale del popolo afghano».

Gianfranco Petruzzella, Ministro Plenipotenziario e Inviato Speciale per l’Afghanistan del Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale (MAECI), intervenuto in collegamento, ha ricordato l’impegno dell’Italia sul territorio dopo il ritorno al potere dei Talebani nell’estate 2021: «La macchina della solidarietà internazionale si è subito attivata per evitare che il Paese possa tornare a essere una base per il terrorismo internazionale perché la fine delle attività militari non deve coincidere con la fine dell'impegno».


Presente all’incontro anche la Principessa dell’Afghanistan Soraya Malek: «Sono state dette molte cose ed è forse inutile rivangare il passato ma gli occidentali sono arrivati nel Paese il 7 ottobre 2001 con una missione di 47 Paesi con l’obiettivo di sconfiggere il terrorismo, togliere il velo alle donne e riportare la democrazia. Non è andata così».

«Da ieri – ha ricordato – non si può più lasciare il Paese. In questi anni sono morte 300mila persone e tantissime donne sono rimaste vedove, la condizione peggiore per una donna afghana. Inoltre, è utile ricordare che l’Italia ha stanziato 8 miliardi e mezzo per le spese militari e 400 milioni per la cooperazione e lo sviluppo. Lo squilibrio è evidente».

La principessa Malek ha poi ricordato il ruolo della famiglia reale e dei nonni, il Re Amanullah Khan e la Regina Soraya Tarzi, che regnarono negli anni ’20 del ‘900, nel promuovere politiche progressiste tese a favorire, tra l’altro, l’emancipazione delle donne. Tra le riforme attuate l’istruzione obbligatoria per maschi e femmine e un primo tentativo di separazione tra potere temporale e religioso, un primo tentativo di laicizzare il Paese.

Ma, tornando all’attualità, due sono i nodi da sciogliere per il futuro dell’Afghanistan. Il primo, come ha spiegato il professor Gastone Breccia dell'Università di Pavia, riguarda gli aiuti al popolo afghano: «È chiaro che il popolo non è corresponsabile, neanche minimamente, ma il supporto umanitario, pur fondamentale, non basta a far ripartire un'economia. Servono investimenti, infrastrutture, ma questi passano attraverso un qualche dialogo con chi governa adesso il Paese e quindi con un’implicita legittimazione che può comprensibilmente risultare inaccettabile. Ma se non lo facciamo noi lo faranno altri, la Cina per esempio, che però porrà come elemento decisivo la sicurezza e la stabilità interna. Un tema – ha aggiunto Breccia - che introduce il secondo problema chiave. Se ci fosse un ritorno della resistenza armata, che cosa è giusto fare? Aiutarla con il rischio di una nuova guerra civile, devastante per una popolazione già stremata, o voltare le spalle e cedere davvero il potere ai taliban?».

Le condizioni, drammatiche, della popolazione afghana, sono state al centro dell’intervento della presidente di Emergency Rossella Miccio: «Importantissimo continuare a parlare di Afghanistan, conosciamo, purtroppo le dinamiche di comunicazione dei media ma 39 milioni di persone sono cadute nell'oblìo. La situazione del Paese è una vergogna per l'Occidente che si professa paladino dei diritti. Sono arrivati problemi come droga, tossicodipendenza, prostituzione, prima assenti, senza costruire assolutamente niente. Non è un Paese stabile né pacificato ed è sull'orlo di una crisi umanitaria. Il ritorno dei Talebani è una responsabilità per l'occidente anche se, considerando che due anni prima c’era stato un accordo, la sorpresa della comunità internazionale risulta un po' naif. Puntare alle organizzazioni umanitarie può essere una soluzione perché questo Paese da solo non ce la può fare.  Tutto passa dalla costruzione di diritti umani. Bisogna smettere di considerare la guerra un'opzione perché la guerra è il problema, non la soluzione».

A chiudere i lavori sono stati poi gli interventi di Caroline Hancock-Ebner, Programme Manager Afghanistan del Dipartimento Federale degli Affari Esteri Internazionali (DFAE) e Paolo Girola del Centro “Federico Peirone” dell'Arcidiocesi di Torino, promotore della mostra. Hancock-Ebner, in collegamento dalla Svizzera, ha ricordato l’impegno umanitario del paese elvetico in Afghanistan con particolare riferimento al settore educativo, alla promozione dei diritti umani in un contesto molto difficile, mentre Girola si è soffermato, tornando al tema della mostra fotografica, sul viaggio di Maillart e Schwarzenbach, descrivendone i rapporti, la personalità e il contesto, personale e storico, della loro incredibile avventura. Due donne meravigliosamente cosmopolite dalla grande forza morale e spirituale.

Un articolo di

Luca Aprea

Luca Aprea

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