«Se siamo nati per sentire ciò che l’altro sente, se siamo naturalmente relazionali, come possiamo essere indifferenti?» Parte da questo interrogativo l’ultimo libro di Ugo Morelli, “Indifferenza. Crisi di legame sociale, nuove solitudini e possibilità creative”, edito da Castelvecchi. Da questo interrogativo ha preso anche le mosse la conversazione che si è svolta mercoledì 19 dicembre nella sede di Aseri, l’Alta scuola di economia e relazioni internazionali della Università Cattolica. Un dialogo a tre fra l’autore - saggista e psicologo con una cattedra a Trento e una Napoli - Michele De Lucchi - architetto e designer italiano, noto al grande pubblico anche per aver disegnato per Artemide la lampada Tolomeo - e il professor Vittorio Emanuele Parsi, direttore Aseri, docente di Relazioni Internazionali e padrone di casa.
Il problema dell’indifferenza - caro a Morelli che gli aveva già dedicato altri saggi - nasce dalle nuove scoperte sul funzionamento del cervello alle quali sono giunte le neuroscienze.
«Fino a non molto tempo fa - ha spiegato lo studioso - eravamo convinti di essere in grado di comprendere quello che gli altri sentono e fanno sulla base della nostra esperienza. Per cui, per esempio, se vedo una persona durante una conferenza alzare un bicchiere, mi aspetto che lo porterà alla bocca per bere e non si rovescerà l’acqua sul capo, perché ho visto altre persone nelle medesime circostanze comportarsi in quel modo e non nell’altro. Invece da ormai trent’anni abbiamo capito che qualcosa di decisivo avviene in maniera inconsapevole e non razionale, già nei primi istanti di vita».
Per esempio, gli esperimenti su feti in utero hanno fornito una conferma dell’importanza di quel delicato periodo nella formazione di alcuni schemi cerebrali fondamentali per l’esistenza futura dell’individuo.
«Oggi sappiamo che già alla quattordicesima settimana di gestazione il bambino sviluppa un’interazione con la madre», ha affermato Morelli. Ed è grazie a questa comunicazione che «si formano nella parte primordiale del sistema nervoso centrale, l’ipotalamo, i sistemi mirror (noti anche come neuroni specchio) che ci consentono di provare empatia, cioè di entrare in relazione con gli altri».
Non solo. Prove empiriche, ha detto lo studioso, hanno dimostrato che esiste anche una forma di apprendimento prenatale. Se a 69 ore dalla nascita, si mostra ad un neonato il disegno stilizzato di un volto (un cerchio con due puntini in alto e uno in basso) è possibile osservare un’attivazione dei suoi bulbi oculari, invece se capovolgiamo quella immagine, non si riscontra alcuna reazione.
Ma allora se siamo fatti così, se siamo naturalmente costituiti per la relazione, tanto da acquisire già prima di nascere la capacità di riconoscere i tratti essenziali che compongono un viso, come si spiega l’indifferenza, cioè la rottura di quel legame che ci connette con gli altri?
«Dobbiamo considerare l’indifferenza alla stregua di una malattia, un mal funzionamento organico?», si è domandato De Lucchi.
«Prima di ogni considerazione morale, dobbiamo comprendere che cosa succede nel nostro cervello quando si spezza il legame sociale. E quello che si è capito è che in quel momento noi ci comportiamo come se l’altro non ci fosse», ha risposto Morelli.
Nel libro Balkan Express, la scrittrice Slavenka Drakulic riporta le testimonianze di alcune donne che durante il conflitto nei Balcani degli anni ’90 furono vittime di stupro da parte dei militari. Tutte loro raccontano che durante quelle violenze, sentivano di non essere fisicamente presenti nel luogo e nel momento in cui erano abusate, ha fatto notare lo studioso. Esiste, dunque, anche una indifferenza, per così dire positiva, che è una forma di "ecologia delle mente", un modo con cui il nostro cervello si difende dagli stimoli esterni. Solo salendo di grado, in un continuum senza soluzione di continuità, la «dissolvenza della compassione» diventa problematica, fino ad assumere forme patologiche.
Ma cosa accade quando questa analisi dal livello individuale si sposta a livello sociale? «Possiamo considerare la democrazia una scommessa sulla empatia?», si è chiesto Parsi.
«Le democrazie – ha replicato Morelli – si fondano sul riconoscimento delle diversità. Ma affinché i sistemi democratici funzionino, i parlamenti, che ne sono il cuore, devono essere luoghi in cui si ascoltano le ragioni dell’altro e non posti dove ci si parla addosso».