A distanza di cent’anni dalla nascita (ad Alba, il 1° marzo 1922) non è difficile per noi riconoscere oggi in Beppe Fenoglio uno dei maggiori narratori del Novecento italiano. Poiché Fenoglio risulta quasi esattamente contemporaneo e conterraneo di Cesare Pavese, va superata la tentazione immediata di accomunare questi scrittori, i quali risultano molto meglio definiti da una serie di opposizioni: realismo autentico, gusto del racconto epico-avventuroso, cultura inglese del primo contro visione mitica, intellettualismo ‘cittadino’, letteratura americana per il secondo.
Due sono i temi che percorrono l’intera opera di Fenoglio, dai racconti de I ventitré giorni della città di Alba (1952) fino al grande e magmatico romanzo incompiuto Il partigiano Johnny (uscito postumo, come buona parte della sua produzione, nel 1968, non senza complessi problemi filologici che restano tuttora aperti), passando per libri importanti come La malora, Primavera di bellezza, Un giorno di fuoco, Una questione privata, La paga del sabato.
Anzitutto la guerra partigiana, raccontata senza pregiudizi ideologici (e per questo motivo gli scritti di Fenoglio furono osteggiati dagli intellettuali più schierati politicamente), dall’interno della propria esperienza personale di combattente, privata dell’idealizzazione deformante che ne aveva caratterizzato fino ad allora la ricostruzione letteraria; il significato di questa operazione fu colto pienamente da Italo Calvino, che parlò al riguardo di una «Resistenza proprio com’era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta … e con tutti i valori morali, tanto più forti quanto più impliciti». L’altro motivo è la realtà contadina delle Langhe: anche in questo caso l’autore parte dalle proprie radici biografiche, per dare vita alla rappresentazione di un mondo colto nella sua elementare durezza quotidiana, dominata dall’interesse economico.
La scrittura di Fenoglio, frutto di una ricerca assidua e isolata (sempre Calvino lo definisce «il più solitario di tutti»), va oltre la mimesi ingenua di certo neorealismo della sua epoca, fondandosi su un impasto linguistico originale, con un ampio spettro che comprende l’inglese e il dialetto, le espressioni gergali così come alcuni preziosismi. È essenzialmente per questa ragione che Fenoglio rientra a pieno diritto fra i nostri classici contemporanei.