Con i violenti basta davvero “buttare via la chiave”? Questa è la provocazione lanciata dal Dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica che ha deciso, con tre incontri, di aprire un dibattito dedicato alla violenza di genere e al tema della recuperabilità del maltrattante. Un argomento attuale su cui è necessario riflettere.
Il primo dei tre incontri, moderato dai professori Luca Milani e Chiara Ionio, docenti del Dipartimento dell’Ateneo, ha cercato fin dal titolo, Buttare via la chiave? Violenza di genere e trattamento dei maltrattanti, di cogliere l’essenza della discussione: lasciare nel dimenticatoio l’aggressore non è un’efficace soluzione, sia per la vittima che per il maltrattante. Un invito a mettere da parte l’idea della monofunzionalità della pena, quella che prevede solamente la condanna e a scegliere la via della giustizia riparativa. Senza un supporto o un dialogo con esperti in grado di far prendere consapevolezza agli aggressori dei loro gravosi atti, le vittime non potranno mai essere del tutto al sicuro.
Dopo i saluti del preside della Facoltà di Psicologia Alessandro Antonietti e della direttrice del Dipartimento Antonella Marchetti è intervenuto Paolo Giulini, presidente della Cooperativa sociale CIPM- Centro italiano per la promozione della mediazione. Il Centro promuove da 27 anni le pratiche della giustizia riparativa e si basa sulla prospettiva integrata e multidisciplinare (psicologica, criminologica, pedagogica, legale). La sua analisi si apre con una rapida indagine sul sistema penale che soffre da sempre per la qualità dell’esecuzione della pena - che porta l’aggressore a ricadute violente - per la bassa emersione dei fenomeni lesivi e per la scarsa efficacia della tutela delle vittime. Proprio per questo sono nati nuovi approcci per sradicare alla base la violenza di genere. Uno di questi è il Protocollo Zeus, che cerca di interrompere sul nascere la spirale di violenza, invitando i maltrattanti a seguire un percorso di recupero. Il trattamento si basa su programmi per prevenire la recidiva. I risultati del Protocollo sono buoni: nuovi accessi in crescita dal 2019 e una percentuale di ingressi spontanei in aumento. Nello specifico, gli uomini che vengono presi in carico dal Cipm prendono parte al progetto U.o.m.o., finanziato dalla Regione Lombardia e finalizzato al trattamento di uomini che hanno agito, agiscono o temono di agire violenza. Ad accogliere e monitorare le richieste di trattamento è il Ce.O.M. (Centro Orientamento e Monitoraggio). Progetto U.o.m.o. e Ce.O.M. s’impegnano per costruire una rete territoriale sempre più ampia.
Sull’importanza di creare questa rete di monitoraggio è intervenuta anche la vicepresidente del Cipm Francesca Garbarino, focalizzandosi sul concetto di multidisciplinarità, che si declina nel ruolo centrale della legge, ma soprattutto nella responsabilizzazione del maltrattante, che spesso è convinto di essere nel giusto. L’approccio multidisciplinare prevede l’integrazione tra l’intervento della giustizia e quello di enti e associazioni volte al recupero della persona. «È necessario – sostiene la criminologa – un approccio integrato tra tutti i soggetti coinvolti, dalle vittime, ai maltrattanti fino ai bambini, tenendo conto del contesto culturale». Su quest’ultimo è stata rivolta un’attenzione particolare, denunciando come spesso in Italia ci sia una tendenza alla stigmatizzazione. Espressioni come “mostro” o riferimenti alla pena di morte, per quanto leciti sotto un certo punto di vista, rischiano di distogliere l’attenzione da quello che può essere il percorso rieducativo del maltrattante.
Un percorso senza dubbio lungo e tortuoso, come testimonia l’esperienza di Bruno Barbieri del centro bresciano “Cerchio degli uomini”, nato nel 2013 per accompagnare per mano uomini che hanno sbagliato, ma che sono in cerca di una nuova vita. «Non è facile – racconta Barbieri – perché spesso gli uomini non sono propensi ad accettare il dialogo per capire dove hanno sbagliato». Le principali problematiche sono legate alla cultura di appartenenza di molti uomini, soprattutto quella est-europea e asiatica, dove la posizione della donna è subordinata a quella dell’uomo. Per questo sono fondamentali la prevenzione e l’educazione ai sentimenti, a partire dalle scuole. Solo in questo modo si potrà progressivamente limitare questa piaga sociale della violenza di genere.
In coda ai primi interventi sono arrivate le parole di Mara Pirotta dell’Università Bicocca, incentrate sulla relazione che i maltrattanti hanno con i propri figli. L’ultimo contributo, invece, è stato quello di Lara Ferla dell’Università Cattolica, che ha affrontato i temi della prevenzione e del trattamento dal punto di vista giuridico.