«La gente, i tanti sacerdoti, tutti venuti in questo luogo magnifico che spinge verso il cielo, mi riempiono di gioia e di gratitudine”, dice Savina Barelli prima che inizi la messa in Duomo di Milano durante la quale saranno proclamati beati, sua zia Armida, e don Mario Ciceri.
Sotto le volte della cattedrale ambrosiana l’emozione è palpabile tre le 1.800 persone venute da diverse località italiane per partecipare alla solenne celebrazione.
«È il coronamento di un sogno che non eravamo affatto certi si potesse realizzare ed invece oggi finalmente si compie», osserva Luigi Corno, presidente dell’associazione nata a Sulbiate per proseguire sulle orme lasciate dal sacerdote brianzolo.
Due personalità diverse, Armida Barelli e don Mario Ciceri, quasi il verso e il rovescio della stessa immagine, che vengono proclamati beati nello stesso giorno. Lei, figlia della borghesia milanese, fondatrice di grandi opere, protagonista della vita sociale tra le due guerre, molto più di quanto fosse concesso in quei tempi a una donna. Lui, un prete di oratorio, che ha dedicato tutta la sua vita alla piccola comunità di un paese di provincia.
«I nostri vecchi ci dicono che don Ciceri ripeteva spesso una frase: “il bene fa poco rumore, mentre il rumore non fa bene”. Era la massima a cui si è attenuto per tutta la vita, parlando poco, ma facendo quello che diceva”, sottolinea Corno
Anche l’aiuto offerto a chiunque glielo chiedesse, voleva che rimanesse nascosto. «Applicava il principio evangelico secondo cui la mano destra non deve sapere quello che fa la sinistra, per cui faceva divieto assoluto alle tante persone che aveva sostenuto per come poteva a superare momenti difficili di raccontarlo in giro, al punto che molti ce lo hanno rivelato solo parecchi anni dopo la sua morte”, spiega Corno.
Diversamente da don Ciceri e vincendo la sua naturale ritrosia e i pregiudizi dell’epoca, Armida Barelli parlò moltissimo e aiutò molte donne a seguire il suo esempio, spingendole a interessarsi dei grandi temi sociali alla luce delle fede, esortandole a prepararsi, a studiare, emancipandole dai ruoli tradizionali che le confinavano nella dimensione domestica. Furono questi gli obiettivi cui erano orientati, in fondo, l’apostolato nella Gioventù Femminile di Azione Cattolica e la fondazione della Università Cattolica, due delle opere più note cui è legato il suo nome.
«Fu una infaticabile e capace organizzatrice, oggi diremmo una manager, che rimase sempre fedele ai propri principi, che nascevano dalla sua grande fede e si esprimevano, nel rispetto dell’altro, anche nella diversità delle opinioni. Fu una protagonista della vita pubblica tra la Prima e la Secondo Guerra mondiale e ha molto da insegnare oggi alla classe dirigente», sottolinea il pronipote Paolo Barelli.
«Era una donna molto severa con sé stessa, pretendeva da sé il massimo, era sempre in movimento, ma quando passava a trovarci, aveva sempre un pensiero per ognuna di noi, nipoti», fa eco Savina Barelli, ancora commossa per aver portato agli altari le reliquie della zia durante la cerimonia. «Oggi è un giorno di festa che ricorda a tutti ciò per cui vale la pena spendere la vita».