NEWS | Dialoghi delle cattedre Unesco

Covid e scuola, una catastrofe generazionale

04 giugno 2021

Covid e scuola, una catastrofe generazionale

Condividi su:

L’emergenza sanitaria fa sentire sempre di più i suoi effetti sull’economia e sulla vita sociale, amplificando il divario tra nord e sud del mondo, dilatando quelle linee di frattura che mettono in discussione una convivenza solidale e fraterna.

Anche l’impatto sulla scuola, e più in generale sull’educazione, è stato drammatico tanto da spingere il Segretario delle Nazioni Unite, a parlare di “catastrofe generazionale”. Nel mese di aprile 2020 un miliardo e mezzo di alunni, bambini e giovani, ha smesso di andare a scuola, e nonostante in molti casi l’attività didattica sia proseguita a distanza mediante l’utilizzo di piattaforme on line o programmi radiofonici e televisivi, l’istruzione non è stata garantita in modo uniforme, in particolare nei paesi a medio e basso reddito.

Una riflessione sul tema dell’istruzione è stata condivisa durante l’incontro “Ripensare i paradigmi della cooperazione internazionale in educazione”, organizzato dalla Cattedra Unesco dell’Università Cattolica Chair on Education for Human Development and Solidarity among Peoples, in collaborazione con l’Osservatorio per l’Educazione e la cooperazione internazionale nell’ambito dell’iniziativa “Dialoghi delle cattedre Unesco”, in collaborazione con la Unesco Chair on Education for Human Development and Solidarity among Peoples dell’Università di Ginevra, Unesco Chair Training  and Empowering Human Resources for Health Development in Resource-limited Countries dell’Università Statale di Brescia.

«La cooperazione internazionale riveste un ruolo di primo piano per la promozione della solidarietà internazionale tra i popoli e per rispondere alle sfide complesse in un mondo intimamente connesso. Tuttavia - dichiara il professor Domenico Simeone, direttore della Cattedra Unesco della Cattolica - è necessario ripensare i principi che sono alla base della cooperazione internazionale, al fine di attuare un cambiamento di paradigma nel modo in cui si manifestano gli equilibri e i rapporti tra i diversi attori coinvolti».

«Nel suo appello per la fondazione di un’alleanza educativa globale, il Papa ci ricorda che è necessario trovare nuovi modi di intendere l’economia, la crescita e il progresso. Tuttavia – ha aggiunto - ogni cambiamento richiede che al tempo stesso venga costruito un cammino educativo, grazie al quale formare persone capaci di vivere nella società e per la società disponibili a mettersi al servizio della comunità. Si tratta di un’educazione che permette una comprensione più ampia e profonda della realtà, che educhi alla solidarietà universale e a un nuovo umanesimo».

Il professor Abdwljalil Akkari,preside della sezione di Scienze dell’Educazione e Direttore dell’équipe di ricerca sulle dimensioni internazionali dell’educazione presso presso l’Università di Ginevra e collaboratore di organismi internazionali come l’Unesco e il Consiglio d’Europa è d’accordo con il professor Simeone sul fatto che «questo è un momento per ripensare la cooperazione internazionale, l’università e l’economia. Siamo in un momento di crisi, ma la parola significa in cinese sia opportunità che pericolo».

Lo studioso ha ripercorso i lavori delle Agende internazionali per l’educazione, che spesso hanno ripreso gli obiettivi previsti perché non raggiunti. Nel corso degli anni si è passati dai concetti di educazione per tutti negli anni ‘90, a quello della permanenza a scuola, comprese le ragazze. Ora le agenzie si concentrano di più sulle competenze misurabili. Si è passati dall’educazione per tutti a contenuti per tutti.

In alcuni paesi dell’area sub-sahariana il 40% dei bambini non va a scuola e anche in quelli a reddito più alto si registra una crisi dell’apprendimento. E spesso non si imparano nemmeno le competenze di base.

Ripercorrendo la storia della cooperazione internazionale possiamo notare che dal ‘45 agli anni ‘70 il tema centrale era la decolonizzazione; negli anni successivi si registrano nuovi attori come la Banca mondiale, che ha un ruolo di particolare rilievo, e le Ong che portano avanti il concetto “small is beautiful”. Dagli anni ’90 ad oggi, c’è stata un’ulteriore diversificazione degli attori e sono apparse le organizzazioni filantropiche, gli investimenti dell’Unione europea.

«Sono convinto – ha detto Akkari - che serva una visione globale, olistica per affrontare i problemi dell’immigrazione, del terrorismo e ora del covid. Si devono ripensare i paradigmi di cooperazione internazionale pensando al modello di società che vogliamo e capire chi controlla gli orientamenti da attuare. L’università avrà un ruolo importante per la ricerca empirica, per garantire uno sguardo critico sulle organizzazioni internazionale e suggerire così nuovi modi di cooperazione e creare innovazione».

Il professor Francesco Castelli, docente di Malattie infettive e pro-rettore vicario dell’Università degli studi di Brescia dove ricopre anche il ruolo di direttore della Unesco Chair Training and Empowering Human Resources for Health Development in Resource-limited Countries, si è soffermato sul tema della salute e dell’educazione del personale sanitario in Africa, troppo sbilanciato rispetto al numero della popolazione.

Perché c’è questa carenza? Per incapacità di formazione, perché ci sono poche università e il personale sanitario formato migra dalle aree rurali a quelle urbane o in un altro Paese per condizioni di vita più sicure, maggior remunerazione, minor carico di lavoro etc. In questo modo il Paese povero investe in formazione e quello ricco li riceve senza pagare nulla.

Le riflessioni conclusive sono state affidate a Rita Locatelli, ricercatrice della Cattedra Unesco, la quale ha sottolineato come sia comune alle cattedre Unesco l’idea di superare l’approccio singolo e la necessità di un dialogo trasversale ai diversi ambiti: «Servono nuovi strumenti di analisi e di indagine sociale che consentano la fondazione di una pedagogia della cooperazione internazionale, basata sull’etica della responsabilità e sul principio di solidarietà. Per essere promotrice di un cambiamento di paradigma nei rapporti tra il Nord e il Sud del mondo, la cooperazione internazionale deve necessariamente riconoscere lo sviluppo come un diritto, non come atto di generosità, ma come dimensione sociale e politica dell’appartenenza all’umanità».

Un articolo di

Antonella Olivari

Antonella Olivari

Condividi su:

Newsletter

Scegli che cosa ti interessa
e resta aggiornato

Iscriviti