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Crolla il legame con l'azienda, un lavoratore su sei percepisce malessere

27 settembre 2023

Crolla il legame con l'azienda, un lavoratore su sei percepisce malessere

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Nell’ultimo anno, in uno scenario socio-economico di forte incertezza, nelle imprese italiane sono aumentate le assunzioni e la formazione del personale, ma è crollato il legame con l’azienda e il senso di appartenenza dei lavoratori. Un segnale del crescente malessere, dimostrato dal fatto che solo un lavoratore su cinque (il 19%, in caduta libera rispetto al 33% dello scorso anno) percepisce benessere e serenità nella sua organizzazione, mentre ben il 15% dice apertamente di stare male nel posto di lavoro (in aumento di 4 punti). Ma i direttori HR non hanno la stessa percezione: quasi metà dei responsabili delle risorse umane italiani rileva un livello di benessere nella sua organizzazione, una quota in aumento rispetto allo scorso anno (43% contro il 31%) e solo l’1% evidenzia vero malessere (era il 19% nel 2022).

Non a caso, se chiedono ai lavoratori le principali preoccupazioni per il futuro nel loro impiego, queste sono proprio malessere psicologico, stanchezza e rischio di burn out, mentre nella percezione degli HR i lavoratori sono soprattutto preoccupati per la riduzione dello stipendio e le difficoltà ad affrontare le spese. Per il 44% dei lavoratori italiani la propria azienda non ha attuato alcuna strategia per trattenere le persone o favorire il senso di appartenenza, e quando c’è stata, si è limitata a indagini di clima interno (21%) o attività di formazione (18%) con scarsi risultati. Mentre per gli HR solo il 15% delle aziende è realmente “inadempiente” e azioni di formazione, indagini interne e piani di sviluppo competenze hanno prodotto effetti concreti, soprattutto un miglioramento del clima aziendale.

Sono alcuni risultati dell'HR Trends & Salary Survey 2023, la ricerca di Randstad Professionals - divisione di Randstad specializzata in ricerca e selezione di middle e senior management - in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli (ASAG) dell’Università Cattolica, che ha esplorato gli ultimi trend in ambito risorse umane. Un’indagine quali-quantitativa, condotta su un campione di oltre 300 responsabili risorse umane e 630 potenziali candidati (occupati e non occupati), per mettere a confronto le loro opinioni sull’impatto in azienda dello scenario socio-economico, sulle strategie di risposta delle organizzazioni e sul significato di “human sustainability”.

«Ciò che sembra mancare è una ipotesi condivisa su cosa è oggi davvero rilevante per poter fare bene il proprio lavoro (condizione di base per poter stare bene al lavoro) - spiega Caterina Gozzoli, componente del Direttivo dell’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli dell’Università Cattolica -. E ciò che pare rilevante è qualcosa che va ancora compreso e che ha a che fare con il significato del lavoro (nuovo?), con la sostenibilità, con la vita e i propri valori, con equità e processi decisionali più partecipati, con il riconoscimento economico adeguato, con la valorizzazione della differenza in stretto dialogo con la specifica realtà organizzativa»

I DATI DELLA RICERCA

La situazione in azienda. Per gli HR italiani negli ultimi mesi sono aumentate soprattutto le assunzioni (per il 62%), gli stipendi (54%), la formazione del personale (49%), mentre è diminuito il legame con l’azienda e il senso di appartenenza (24%). Una visione coerente con quella dei candidati, per i quali in 12 mesi sono aumentate soprattutto assunzioni (37%) e - in minor misura - formazione (23%) e stipendi (22%), ma che sottolineano un vero e proprio crollo del legame con l’azienda e del senso di appartenenza (per il 39%).
Sulle preoccupazioni percepite da HR e candidati, invece, le differenze sono evidenti. Nello scenario attuale, 4 candidati su 10 indicano fra le loro principali preoccupazioni il malessere psicologico (40%), poi le minori opportunità di carriera (32%) e la difficoltà a conciliare vita privata e lavoro (31%). Mentre gli HR hanno una visione diversa: secondo loro, i lavoratori sono soprattutto preoccupati per la riduzione dello stipendio e le difficoltà ad affrontare le spese (38%), con le difficoltà di conciliazione e malessere psicologico in secondo piano.
Candidati e HR convergono sul fatto che l’azienda sia attenta a garantire la sicurezza sul e del posto di lavoro e la condivisione dei valori aziendali. Ma gli HR ritengono anche che l’organizzazione dedichi buona attenzione alla formazione, un aspetto su cui invece dipendenti si sentono poco considerati (solo il 20% la rileva).

Benessere e malessere. Per il 70% degli HR il tema del benessere è diventato più importante in azienda nell’ultimo anno (e anche per il 60% dei candidati), per il 43% anche a fronte anche a fronte di una possibile riduzione dello stipendio e delle opportunità di carriera (per i candidati il 40%).
Nel livello di benessere o malessere percepito però lo scollamento è evidente: il benessere migliora per gli HR (il 43%, contro il 34% dello scorso anno), peggiora decisamente per i candidati (il 19%, contro il 33% del 2022). E invece, il livello di malessere migliora per gli HR (solo l’1% lo percepisce, contro il 19% del 2022) e peggiora per i candidati (il 15%, contro l’11% di un anno fa). 
Sia HR che candidati rilevano tra i principali elementi di malessere il sovraccarico di lavoro (in forte crescita per i candidati) e la mancanza di motivazione, ma gli HR evidenziano anche stress e ansia e mancanza di obiettivi, i candidati sovraccarico di lavoro, insoddisfazione per gli incarichi e impossibilità di fare salti professionali.

Strategie di retention. Per il 44% dei candidati le aziende non attuano alcuna strategia di retention e di potenziamento del senso di appartenenza, mentre per gli HR sono solo il 15% le aziende «inadempienti» ed emerge, invece, una certa convergenza sulla tipologia di strategia attuata. Quando presenti, le iniziative di retention sono state in prevalenza attività di formazione e indagini di clima interno, con effetti di miglioramento del clima aziendale (per i candidati molto inferiori rispetto a quelli rilevati dagli HR).

Human sustainability. Il concetto di occupazione sostenibile per gli HR significa principalmente sviluppo di professionalità (20%), creare la condizione ideale (19%), equilibrio tra vita privata e lavoro (15%). Mentre per i candidati il work life balance è al primo posto nel 24% dei casi, e poi con percentuali attorno al 10% si collocano il salario adeguato e l’attenzione all’ambiente.
Le azioni «sostenibili» attivate dalle aziende sia per gli HR sia per i candidati, anche se con pesi molto diversi, riguardano la garanzia di un ambiente di lavoro sicuro e salutare, ma gli HR citano anche le iniziative volte a creare un buon clima interno e a garantire equità, mentre i candidati sottolineano l’impatto ambientale delle attività di produzione. Per gli HR i motivi per cui in azienda non si da spazio al tema della human sustainability sono “altre priorità”, mentre per i candidati è la mancanza di competenze.

La flessibilità. Il livello di flessibilità nella gestione degli spazi e azioni attivate in azienda risulta ancora limitato sia per gli HR (30%) che per i candidati (36%). I direttori personale sono più ottimisti dei candidati rispetto all’implementazione in azienda dopo la pandemia di azioni per creare spazi per migliorare l’armonia (29%), la produttività (22%), la socializzazione (21%) e il teamworking (11%).

 


Foto di Icons8 Team su Unsplash

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Redazione

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