Nonostante la mascherina, don Alberto Ravagnani non passa inosservato nei chiostri dell’Università Cattolica, ora più animati rispetto a qualche settimana fa. Tanti lo riconoscono e, felici di questo incontro imprevisto, gli si presentano come suoi followers e con discrezione chiedono un selfie (sempre a distanza di sicurezza), al quale don Alberto si presta simpaticamente. Un tempo avrebbero chiesto un autografo ma ormai non si usa più. L’autografo resta dimenticato in qualche libro mentre il selfie viene postato in tempo reale a vantaggio di una comunicazione rapidissima e di un messaggio incisivo.
Don Alberto questo lo sa bene perché il successo dei suoi video-messaggi ha superato i confini della parrocchia di Busto Arsizio, dove opera come responsabile della pastorale giovanile. In tempo di lockdown aveva iniziato proprio qui, quasi per caso, a tenere i contatti con i ragazzi dell’oratorio con l’unico mezzo che gli avrebbe permesso di svolgere le sue catechesi a distanza in modo brioso e accattivante, utilizzando la leggerezza dei social per far emergere la profondità del Vangelo. Gli è riuscita talmente bene questa forma di catechesi che i suoi video hanno avuto ampia diffusione e così ben presto è stato conosciuto e apprezzato oltre i confini della diocesi di Milano.
Tale protagonismo mediatico, nato casualmente, non ha modificato la sua vita e il suo pensiero che a tal proposito è molto chiaro. «Sono sui social da giovane prete che tenta di stare vicino ai giovani. Sono agli inizi, ho due anni di ministero sacerdotale e la consapevolezza che non ho verità in tasca, ho poca esperienza, devo imparare tante cose, magari prendere tante batoste, ma sono molto propositivo ed entusiasta di essere vicino ai giovani anche in questo modo».
I video di don Alberto sono diventati virali e hanno attirato l’attenzione della stampa che gli ha affibbiato varie etichette da “prete youtuber” a “Influencer di Dio”. Don Alberto sorride e fa notare che «la categoria, o meglio, la dizione influencer è tipica del nostro tempo, ma tutti noi cristiani siamo influencer se siamo testimoni di Gesù, nella misura in cui portiamo Gesù e non noi stessi. Quindi, sono davvero un influencer di Dio se permetto al Vangelo di cambiare le vite di coloro che mi seguono».
La missione di don Alberto, allora, interpella la modalità di comunicazione della Chiesa con i giovani e il senso di fare pastorale attraverso i social. «Oggi è indispensabile utilizzare i social media anche nella Chiesa, rappresentano una dimensione della realtà importante con i loro pro e contro. Il nostro compito è quello di comunicare il Vangelo, anche in modo virtuale, ma consapevoli che non è come fare attività pastorale in presenza».
È da tener presente che i social offrono grandi opportunità, consentono di vivere alcuni aspetti della vita in modo potenziato: «La comunicazione del Vangelo ai giovani con un linguaggio social che non annoia consente di rivolgersi loro in modo orizzontale, cioè non ostentando un ruolo ma con l’autorevolezza che si guadagna a partire dalla propria credibilità. La verità non viene presentata e calata dall’alto ma proposta dal basso, faccia a faccia, proprio come faceva Gesù che si è presentato agli uomini e donne del suo tempo usando il loro linguaggio. Inoltre i social, con le loro immagini ed emozioni, permettono di passare da una comunicazione logica, razionale, ineccepibile a una comunicazione più poetica in cui sia possibile raccontare il Vangelo in modo nuovo».
Don Alberto è consapevole dei limiti di evangelizzare attraverso i social. «Il fatto è che non esauriscono la realtà e non permettono la relazione fisica mentre il Vangelo passa attraverso un incontro fisico, come accade nella liturgia». Per questo la sua attività con i giovani di Busto Arsizio è soprattutto in presenza. «Abito in oratorio, coltivo relazioni con i giovani, celebro messa, li incontro in giro per la città o a scuola dove insegno. I social non sono un’alternativa alla vita reale o in presenza ma una dimensione che sta dentro la relazione coi ragazzi, per questo sono attivo sui social che sono ambienti molto abitati dai giovani».
L’approccio social di don Alberto consente di offrire qualche consiglio sul loro uso consapevole. «Quello che posto sui social - una immagine, un video, un commento - ha un peso e una incidenza nella realtà. Le mie azioni hanno delle conseguenze nel bene e nel male. I social sono luoghi di relazione, dietro lo schermo c’è qualcuno che ha una vita con tutta la sua complessità, c’è una persona che sta combattendo una battaglia nel suo cuore, quindi devo pensare bene a quello che dico e che può raggiungere qualcuno per fargli del bene. Inoltre, dico sempre ai miei giovani che non dobbiamo farci usare dai social ma essere consapevoli che il nostro dito accende e spegne il dispositivo, tocca a noi valutare quanto tempo stare e quanto spazio dare a questo ambiente nella nostra vita».
Don Alberto Ravagnani è la prima volta che visita gli spazi di Largo Gemelli e resta colpito dai tanti giovani che qui (pandemia permettendo) trascorrono buona parte della loro giornata, della loro formazione, della loro vita di relazione. Commenta così la visione dell’Università Cattolica: «Studiare è una grande responsabilità e un grande dono, lo studium è la passione per qualcosa. Se vissuto con serietà diventa impegno, dedizione, presa in carico, amore. Chi studia ha il dono di appassionarsi a qualcosa fino a diventarne responsabile per il bene del mondo intero, con l’entusiasmo di poter mettere a frutto quello che ha imparato condividendolo, come una scintilla che genera altre fiamme e processi virtuosi a vantaggio di tutti».
Un augurio che i nostri studenti, e non solo, sapranno fare proprio, magari meditandolo in questo tempo di Quaresima.