«Con questa vittoria si sono aperte le porte del secolo della Turchia». Lo ha detto il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, parlando ai suoi sostenitori a Istanbul nel discorso in cui ha dichiarato la vittoria nel ballottaggio delle presidenziali che si sono tenute domenica scorsa in Turchia. Nell’anno centenario della Repubblica di Turchia, il Presidente uscente si è confermato con il 52,16% dei voti, contro il 47,84% dello sfidante, Kemal Kılıçdaroğlu, segretario del CHP (Partito Repubblicano del Popolo), il principale partito di opposizione, attorno a cui si era formata un’ampia coalizione di altri partiti, uniti nel tentativo di interrompere il ventennale dominio di Erdoğan e dell’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo).
Un esito sorprendente se si considerano i sondaggi che hanno dato la coalizione guidata da Kılıçdaroğlu costantemente in vantaggio di alcuni punti fino a pochi giorni dal voto del primo turno, nel quale Erdoğan è risultato davanti, anche se non ha superato la soglia del 50% per riconfermarsi da subito. Ciò dimostra, ancora una volta, la forte presa del leader turco sulla popolazione, ma anche l’efficacia di un sistema di potere politico-mediatico che non è facile sconfiggere. La vittoria di Erdoğan è inequivocabile, tuttavia per la prima volta è risultata meno netta che in passato se si considera il successo di misura del Presidente uscente al ballottaggio. Kılıçdaroğlu, soprannominato il “Gandhi turco” per le sue iniziative non-violente in difesa dei diritti, ha dimostrato una grande capacità di mediazione, riuscendo a unire forze molto diverse (laici, nazionalisti moderati, curdi, aleviti) in un progetto politico innovativo che ha messo al centro il concetto di “inclusione”, scommettendo su una Turchia desiderosa di più pluralismo in politica e nella società.