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Emoji, non sono solo faccine…

17 luglio 2022

Emoji, non sono solo faccine…

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Il 17 luglio si celebra la Giornata Mondiale delle Emoji, le simpatiche faccine che tutti noi aggiungiamo nelle chat per arricchire i nostri messaggi. In realtà le emoji non sono solo un plus, ma sono diventate un vero e proprio modo di comunicare, spesso usate da sole sanno esprimere al meglio emozioni, reazioni e possono sostituire le parole. L’ideatore di questa Giornata è il designer e animatore australiano, Jeremy Burge, che nel 2013 ha fondato Emojipedia, un sito web che raccoglie tutte le emoji, i loro significati e utilizzi. L’anno successivo ha quindi deciso di istituire il World Emoji Day il 17 luglio, data scelta non a caso. Infatti, sugli iPhone l’emoji del calendario viene mostrata proprio con il giorno “Jul 17”.

Attenzione però, perché emoticon ed emoji non sono la stessa cosa. Le prime sono faccine ottenute dalla combinazione dei segni di punteggiatura, lettere e altri caratteri della tastiera. La più conosciuta è composta dai due punti seguiti dalla parentesi tonda, anche conosciuta come “smile”. Sono nate nella cultura occidentale di Internet tra la fine degli anni Settanta e i primi anni del decennio successivo. Si tratta quindi della fase web 1.0 nella quale le persone si esprimevano soprattutto con dei testi all’interno di chat e forum per condividere esperienze, consigli utili e supporto. Le emoticon sono state introdotte in un secondo momento per integrare nei testi qualcosa che sostituisse la presenza fisica. Le persone sentivano il bisogno di stemperare il tono di alcune discussioni, di far capire uno stato d’animo anche attraverso le espressioni facciali, per quanto possibile.

Le emoji, invece, derivano dalle culture orientali caratterizzate da lingue ideografiche: le lettere, le sillabe o intere parole vengono espresse attraverso simboli (ideogrammi). Sono nate in Giappone negli anni ‘90 e hanno l’obiettivo di abbreviare alcuni concetti. A differenza delle emoticon, le emoji rappresentano direttamente il viso: sono delle vere e proprie immagini, icone.

«Con la diffusione dei social network la lingua di espressione online è notevolmente cambiata, influenzando anche il modo di comunicare, soprattutto quando si tratta di ambienti più formali». Infatti, come ci spiega Elisabetta Locatelli, docente di Digital Media all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, spesso i giovani studenti inviano una serie scomposta di mail come se si trattasse di una chat, quando sarebbe più opportuno scrivere una lettera unica in cui vengono affrontate assieme tutte le questioni. «L’importante - continua Locatelli - è rendersi conto del contesto in cui ci si trova per non generare dei fraintendimenti o cadere nell’informalità».

Ma non si tratta solo di un gap generazionale. Le emoji sono entrate anche nel mondo istituzionale, rimanendo comunque relegate alle piattaforme social. Da un recente studio effettuato dalla professoressa Locatelli sui post Facebook di Asl o Regione Lombardia è emerso che sono state utilizzate diverse emoji per segnalare un tema o un particolare alert, per arricchire il senso e per avvicinarsi al linguaggio usato dagli utenti. Per esempio, l’utilizzo del bollino rosso all’inizio di un messaggio per avvisare sul cambiamento delle norme durante la pandemia.

Sicuramente con i nuovi spazi che stanno nascendo, come il Metaverso, non è possibile prevederne l’evoluzione. Ma basandoci su quello che è già successo anche in Asia, potrebbe essere introdotta la possibilità di utilizzare delle emoji personalizzate a pagamento. I social hanno però aiutato a sdoganarne l’uso e a diffondere un certo tipo di comunicazione: diretta, semplice e ridotta.

Continuando a parlare di emoji, Locatelli afferma «anni fa venivano usate dai giovani, oggi invece le usiamo proprio tutti. Servono per stemperare una situazione, soprattutto all’interno di un contesto formale, e dare così un’impronta personale». Le emoji hanno quindi aumentato la possibilità espressiva.

E allora, via libera all’utilizzo di queste simpatiche faccine ma senza dimenticare, come dichiara la professoressa Elisabetta Locatelli «di usarle sempre con buon senso, educazione e rispetto per evitare che si verifichi una ipersemplificazione, ovvero non dare una risposta vera al nostro interlocutore ma una semplice reazione che può anche essere mal interpretata».

 

 


Photo by Domingo Alvarez E on Unsplash

Un articolo di

Eugenia Durastante e Federica Farina

Scuola di giornalismo

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