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Fare i conti con Mani pulite trent'anni dopo

07 dicembre 2022

Fare i conti con Mani pulite trent'anni dopo

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Cos’è rimasto, trent’anni dopo, del grande sconvolgimento nella vita politica ed economica italiana provocato dalle inchieste di Mani Pulite? Le risposte sono lasciate a due testimoni dell’epoca. Uno è il giornalista Filippo Facci, all’epoca giovane cronista: «Poco è cambiato in termini di corruzione e della sua percezione, ma la domanda da porsi è se ci sia un equilibrio fra i poteri o se l’antipolitica, che da allora lancia la sua onda lunga, non ci impedisca di avere una classe politica adeguata per guardare il futuro».

Il secondo è l’avvocato Nerio Diodà, all'epoca legale penalista del Pio Albergo Trivulzio del presidente Mario Chiesa, il cui arresto il 17 febbraio di quell’anno scoperchiò il vaso di Pandora da cui uscì Tangentopoli. «È stato un modo molto modesto, se non addirittura inutile, per fare intervenire la giustizia penale - risponde Diodà - doveva essere invece un sistema politico, fra l’altro in grave crisi, a dare risposte politiche al problema».

Di Mani Pulite, della sua genesi, del ruolo che ebbe l’informazione, delle storture nelle indagini e della passione popolare che accompagnò l’inchiesta si è parlato in Università Cattolica nell’incontro dal titolo “A trent’anni da Tangentopoli. Cronache e testimonianze di Mani pulite”, davanti a una platea di studenti, all’epoca dei fatti non ancora nati.

Introdotto da Anna Maria Fellegara, preside della Facoltà di Economia e Giurisprudenza, da Marco Allena, presidente del consiglio di corso di laurea magistrale in Giurisprudenza, Doppia Laurea Diritto ed Economia, e moderato dal professore di diritto penale Francesco Centonze : «Intendiamo fare il punto su cosa abbia significato Mani Pulite e se ha avuto un’incidenza sul fenomeno corruttivo degli anni successivi» - l’incontro, al quale ha partecipato anche Alessandro Provera, ricercatore RTD-B di Diritto penale dell’Università del Piemonte Orientale, è vissuto sugli interventi degli ospiti Facci e Diodà, che si sono addentrati nell’argomento partendo dalla loro esperienza personale, di giornalista uno, di avvocato l’altro.

Filippo Facci è autore del volume “La guerra dei trent’anni. 1992-2022. Le inchieste, la rivoluzione mancata e il passato che non passa” edito da Marsilio. «Furono anni di grandi cambiamenti in tutto il mondo - dice Facci - ma solo da noi, in tutto l’Occidente, cambiò per via giudiziaria. Fu un’inchiesta che rotolò lungo il pendio di un terreno carico di neve, che caricò la palla, entusiasticamente sostenuta dal popolo italiano, il quale per la prima volta si accorse che non c’erano più soldi per garantire quel tenore di vita al di sopra delle proprie possibilità che aveva mantenuto fino a quel momento».

Inoltrandosi nei meandri dell’inchiesta, Facci racconta che «qualcosa che avrebbe dovuto essere informazione cominciò a diventare un metodo di procedura penale. Permettere che i verbali fossero depositati in edicola invece che in procura dava la direzione discrezionale alle indagini». Il giornalista si concentra su quelle che ritiene le anomalie del meccanismo giudiziario. «La carcerazione come strumento per fare parlare le persone divenne la regola - dice - ma la prova si forma durante il processo, non durante le indagini nel buio di un carcere, quando una persona è interrogata. Inoltre di processi ce ne furono molto pochi, evitati per lo più tramite il patteggiamento».

Ripercorrendo alcuni episodi di quella stagione, fra cui i suicidi di Gabriele Cagliari e di Raul Gardini, nonché il tracollo di molti partiti politici, il giornalista sottolinea il furore popolare che ha accompagnato l’inchiesta. «Di Pietro aveva un consenso plebiscitario come nessuno lo aveva avuto dal dopoguerra». A quel clima si riallaccia anche Nerio Diodà, del foro di Milano, che ripercorre le prime tappe di Tangentopoli: l’arresto di Mario Chiesa colto in flagranza, il ruolo del fornitore di pulizie del Trivulzio, Luca Magni, che lo accusò, il processo. «Fu un periodo complesso, mentre a fianco cresceva l’attenzione mediatica, Di Pietro aveva creato il terrore dell’arresto, ne era cosciente e lo voleva».

«Tecnicamente furono fatte grosse forzature - prosegue Diodà - la custodia cautelare divenne strumento estorsivo, con l’approvazione della Cassazione».

Quindi chiude sui risvolti politici di quegli anni: «Dal dopoguerra agli anni Novanta si era creato, per ragioni complesse, un rapporto economico fra i partiti politici e l’impresa, che era stato importante per il controllo del Paese, garantendo a tutti un utile economico. Ci furono molti patteggiamenti e qualche assoluzione, ma il sistema politico vide crollare la propria forza: alle elezioni del 5 aprile 1992 ottenne un risultato pesante. Si creò nuovo mondo politico».

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Redazione

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