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Gender Balance in Italian Film Crews, il Rapporto che analizza cinema e audiovisivo

26 settembre 2023

Gender Balance in Italian Film Crews, il Rapporto che analizza cinema e audiovisivo

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C’è un settore che cresce vertiginosamente, in Italia. È quello del cinema e dell’audiovisivo, contraddistinto da un incremento di addetti che dal 2017 al 2022 ha raggiunto addirittura del 63 per cento. L’anno scorso, l’ultimo per il quale sono disponibili i dati Inps, nel Belpaese il settore ha dato lavoro a oltre 84mila lavoratrici e lavoratori. «I dati descrivono un comparto florido e in crescita» spiega Mariagrazia Fanchi, direttrice dell’Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica (Almed). «A dispetto della battuta d’arresto imposta dalla crisi sanitaria, il comparto ha visto un incremento di oltre 32mila addetti in cinque anni. Ma se il settore cresce, generando valore per il Paese in modo diretto e indiretto, allo stesso tempo appare segnato da diverse criticità».

Lo rileva il Rapporto Gender Balance in Italian Film Crews, arrivato alla sua terza edizione e realizzato proprio dall’Almed per il Ministero della Cultura-Direzione Generale Cinema e Audiovisivo. Il Rapporto restituisce una fotografia della forza lavoro coinvolta dal 2017 al 2022. «Fra i diversi nodi della filiera la produzione cinematografica, di video e di programmi televisivi fa la parte del leone» continua la professoressa Fanchi. «Sono oltre 46mila gli addetti, il 55 per cento degli occupati dell’intero comparto. Se guardiamo poi ai professionisti e alle professioniste che hanno lavorato per produzioni di nazionalità italiana emerge un quadro in chiaroscuro: attraversato da alcuni positivi cambiamenti, ma in cui permane un importante divario numerico fra donne e uomini, relativo a presenza, carriere e trattamento economico».
 
Considerando i ruoli apicali e i capireparto (quasi 22mila profili), il Rapporto fotografa una proporzione fra uomini e donne ancora decisamente lontana dall’obiettivo del 50:50. «Nei 6 anni analizzati dal Rapporto, le donne alla regia non superano la soglia del 20 per cento, le sceneggiatrici sono il 22 per cento e le montatrici il 26» spiega la professoressa Fanchi. E la situazione non cambia se si considerano solo le iniziative produttive realizzate nel 2022. «Le registe sono il 18 per cento, le sceneggiatrici il 23 per cento e le montatrici il 28 per cento, con un incremento impercettibile rispetto al lustro precedente, mentre le professioniste ingaggiate per dirigere la fotografia o le musiche sono sotto il 10 per cento».

Al contrario le professioni nell’ambito del trucco e dei costumi impiegano l’80 per cento di donne, «con il rischio di diventare dei ghetti devalorizzati o sottopagati» commenta la professoressa Fanchi, che sottolinea come il Rapporto rilevi «un miglioramento della situazione quando alla direzione dei progetti ci sono donne o team a prevalenza femminile». In questi casi cresce la quota rosa anche negli altri ruoli professionali. «Va tuttavia detto che le opere a direzione femminile tendono a collocarsi nelle fasce di costo più basse, sotto gli 800mila euro» continua la direttrice dell’Almed. «Produzioni che, complici anche i budget più ristretti, faticano a muoversi lungo l’intero periplo dei generi, concentrandosi sul documentario. 
 
Un quadro leggermente diverso emerge dall’analisi degli interpreti. Il terzo Rapporto Gender Balance in Italian Film Crews ha infatti allargato il proprio perimetro di osservazione prendendo in esame anche i 3.236 attrici e attori protagonisti che hanno lavorato nelle produzioni italiane fra il 2017 e il 2021. «La forbice fra attrici ed attori appare meno ampia rispetto alla situazione registrata nelle maestranze, per quanto permanga anche in questo caso un significativo gender pay gap» spiega la professoressa. «Nel 2021 un’attrice protagonista viene pagata il 23% in meno di un collega attore, con un delta che fortunatamente tende a ridursi nel tempo: nel 2017 lo scarto fra il compenso medio a giornata era del 48 per cento». Il Rapporto si occupa anche delle opportunità di lavoro per attrici e attori non caucasici (il 7 per cento degli attori e il 10 per cento delle attrici) e per gli interpreti con disabilità (pari all’1 per cento). 

«Il divario di genere fra i lavoratori del cinema e dell’audiovisivo si manifesta in una pluralità di forme» conclude Fanchi. «Dalla differenza numerica, con riguardo ai ruoli apicali e in particolare ai cosiddetti ruoli autoriali, al diverso trattamento economico, che restano consistenti sebbene mostrino segnali positivi di riduzione. Perfino le opportunità di carriera hanno durate mediamente inferiori nel caso delle donne e sono segnate da un numero maggiore di interruzioni. Queste sperequazioni non si riverberano solo sull’ambiente di lavoro e sulle attività produttive del comparto, ma influenzano inevitabilmente anche gli immaginari diffusi dai film, dalle serie e dai contenuti audiovisivi, con conseguenze più ampie sulla cultura e sulla società». 

Photo credits: Unsplash.com/Nick Fewings.

Un articolo di

Francesco Berlucchi

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