Quando l'anno scorso uscì, prima nelle sale poi in tv, il film di Riccardo Milani su Gigi Riva, scrissi una recensione per la rivista online Pagina'21. Mi aveva incuriosito una strana coincidenza: nella bibliomediateca della Fondazione Di Vagno, che si trova a Conversano e che è l'editrice della rivista, campeggiano due sagome in cartone a grandezza naturale. Una è quella di Pasolini, l'altra quella di Riva, entrambi in tenuta da calcio. La presenza di Pasolini nella sede di una istituzione culturale non ha bisogno di spiegazioni, ma quella di Riva mi aveva sempre lasciato un interrogativo: perché proprio lui tra le non poche figure che hanno rappresentato i valori estetici, morali e culturali del calcio?
Mi sembrava che il film di Milani desse una risposta precisa e profonda. Gigi Riva non è soltanto un eroe, un mito, una icona, è un bene culturale della nazione. Per quello che ha dato alla nazionale azzurra portandola con i suoi gol ai vertici europei e mondiali dopo decenni di delusioni e sconfitte; per i sacrifici consumati proprio in maglia azzurra con due incidenti di gioco che gli causarono gravi fratture; per quell'incredibile, felice intreccio di appartenenze di cui è stato protagonista e in cui un atleta del continente, del profondo nord si trasforma in isolano, sardo; e quell'isola, la Sardegna, non si è mai sentita così appartenente al paese come nel giorno dello scudetto che i suoi gol hanno portato a Cagliari.
È quello che ha detto Giorgio Porrà che queste dinamiche conosce bene: uno come Gigi Riva non nascerà mai più, la sua dimensione epica e la sua dimensione etica non sono riproducibili. Ma ripensando ora al film di Milani mi torna in mente un particolare a cui non avevo dato peso. Il film ha un finale strano, sembra non finire mai, dà l'impressione si concludersi e poi riprende, aggiunge, ripropone un'immagine, qualche parola di Riva. Gigi già allora non stava benissimo e sembra, ripensandoci ora, che il regista volesse trattenerlo, non lasciarlo scappare, averlo ancora un po' con sé e con noi. Non era un finale sbagliato, eccessivo, era una sfida al destino.
C'è un'ultima immagine che la notizia della scomparsa di Riva mi ha richiamato alla mente: è un'immagine di Italia-Germania 4 a 3. Quella sera, notte per gli italiani, giocavano in quella partita Riva e Beckenbauer. Due atleti diversi: l'uno attaccante puro, potente, grintoso, acrobatico, aveva nell'azione individuale il suo colpo di genio; l'altro difensore regista, sempre elegante anche quando, come in quell'occasione, giocava con un braccio immobilizzato, esprimeva nella visione totale del gioco il suo talento. Pur nella diversità sono stati accomunati dall'incarnazione del mito apollineo. Se ne sono andati a pochi giorni di distanza, ma quella partita non finirà mai.
Foto by Alessandro Sabattini/Getty Images