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Gustavo Bontadini: il filosofo e la fede

28 aprile 2022

Gustavo Bontadini: il filosofo e la fede

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Giovedì 28 aprile (ore 16.30) Leonardo Messinese, professore di Metafisica all'Università Lateranense di Roma, presenta in Università Cattolica il volume "Il filosofo e la fede. Il cristianesimo 'moderno' di Gustavo Bontadini" nell’incontro organizzato dal Dipartimento di Filosofia. Dialogano con l'autore i docenti Alessandro Ghisalberti, Michele Lenoci e Dario Sacchi. Introduce e modera Massimo Marassi, direttore del Dipartimento e della rivista di Filosofia Neo-Scolastica. Di seguito un estratto dal prologo al volume che racconta parte della disputa tra Bontadini e Severino e contiene un ricordo personale del grande maestro della filosofia italiana, in grado di «dare del “tu” alla filosofia – senza aggettivi - e al suo multiforme corso storico».


Avevo sentito parlare di Bontadini per la prima volta nel 1975, in una lezione all’Università Lateranense durante il mio secondo anno di filosofia, dal docente di metafisica che all’epoca era Mons. Giorgio Giannini. Egli aveva fatto cenno a una disputa, che durava da una decina d’anni, tra Bontadini e un suo allievo di nome Emanuele Severino, la quale era incentrata sul tema nevralgico dell’essere e del divenire. Quel poco che ne sentii dire in tale occasione mi fu sufficiente per capire di che cosa, in primo luogo, mi sarei occupato nei miei studi filosofici futuri.

Nel marzo del 1983 scrissi a Bontadini una lettera. Essa accompagnava l’estratto della mia tesi di dottorato – pubblicato anche in forma di articolo su «Aquinas», la rivista filosofica dell’Università Lateranense – in cui tra l’altro ricostruivo i vari passaggi di quella disputa che oramai, quanto all’essenziale, poteva dirsi già sostanzialmente conclusa. Bontadini ebbe la cortesia di rispondermi con una lettera molto amabile qualche tempo dopo, fornendo tra l’altro alcune precisazioni in merito alla sua posizione rispetto a Severino e segnalandomi un suo articolo, appena pubblicato, in cui egli ritornava sulla vexata quaestio. Quell’articolo era intitolato Per continuare un dialogo.

Tale scritto e la replica di Severino uscita nell’anno seguente, nonché una sollecitazione fattami da Bontadini nella sua lettera di dargli il mio parere su quel suo nuovo intervento, mi spinsero a scrivere nel 1985 un breve articolo, intitolato significativamente Per far continuare un dialogo, e a inviarlo perciò a Bontadini, perché ne favorisse la pubblicazione sulla «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica» in cui erano apparsi i due suddetti articoli. E così avvenne. Si trattò, però, al di là di qualche reciproco accenno che sarebbe comparso in alcuni loro scritti successivi, del vero e proprio epilogo della discussione tra i due filosofi, come fu ratificato dallo stesso Bontadini con una brevissima Postilla che faceva seguito all’articolo di Severino.

Malgrado fosse avanti negli anni quando ebbi modo di incontrarlo de visu per la prima volta – se non erro, si era nel 1986, ma ricordo bene che vi ero andato insieme con il prof. Aniceto Molinaro – Bontadini conservava una prestanza fisica ancora notevole. Al punto che, come ebbi modo di vedere in occasione del pranzo che consumammo in un ristorante sotto casa, talvolta era lui a dover ‘aiutare’ un’anziana signora che aveva il compito di accudirlo per le faccende domestiche. La tempra fisica di Bontadini anche in età avanzata era tale da poter dire egli a me un’altra volta, in un freddo pomeriggio di primavera, che se dovevamo rientrare in casa dal balcone, dove si stava amabilmente conversando, non era affatto per tutelare la sua salute, quanto invece la mia.

Nella memoria di coloro che gli sono stati più vicino sino alla fine, c’è il ricordo di un uomo che lamentava con amarezza di «non riuscire a pensare come una volta». Degli incontri avuti con Bontadini qualche anno prima della sua scomparsa, ciò che a me è rimasto soprattutto impresso sono la sua persistente lucidità di pensiero, ch’era il segno di un’intelligenza acutissima, e il serrato argomentare di una persona ch’era ancora perfettamente in grado di esprimere, oralmente, pensieri e argomentazioni che solo pochi sarebbero in grado di mettere, a fatica, su carta.

In un altro mio libro ho già fatto menzione di ciò che Bontadini mi chiese riguardo alla famosa disputa, ovvero se io stessi dalla sua parte o da quella di Severino. Ogni tanto, ho ripensato a ciò che gli risposi. Mi è successo anche scrivendo questo libro. Non ricordo bene se in quel preciso momento fossimo seduti, oppure ancora in piedi, poco dopo essere rientrati in casa a motivo del freddo di quel pomeriggio primaverile. Ho, però, ancora davanti agli occhi l’immagine dei suoi occhi che fissavano i miei, in attesa della risposta. In seguito, ho anche pensato che egli in quel momento attendesse dalle mie parole come una conferma ulteriore di ‘essere nella Verità’. In ogni caso per me, ancora giovane, era stato come chiedermi: «vuoi più bene a mamma o a papà?», sebbene, anche anagraficamente, qui la comparazione più giusta sarebbe quella tra nonno e papà. E come la risposta a una tale domanda non potrebbe che essere: «in modo uguale a tutti e due!», analogamente, e ora fuor di metafora, a Bontadini dissi ciò che pensavo riguardo a lui e a Severino, ovvero che il mio intento era di mediare le loro due posizioni filosofiche. Ero e sono certo che un po’ lo avevo deluso, dal momento che egli, alludendo al tono conciliatorio della mia risposta, con il suo fare insieme brusco e bonario, concluse dicendomi: «Ho capito, lei è un hegeliano!».

Scrivere questo libro su Bontadini è stato per me assolvere a un debito di riconoscenza. Ma è stato anche come riprendere la mia risposta di allora e portarla, finalmente, al suo compimento. Così da fare andar via quel filo di delusione che avevo percepito in quegli occhi e che, da allora, era rimasto impresso in modo indelebile nei miei.

Estratto dal libro di

Leonardo Messinese

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