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Tesi sull’Africa, mai così tante

29 aprile 2025

Tesi sull’Africa, mai così tante

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Mai così tante, mai così originali, mai così accurate. Sono le tesi dedicate all’Africa discusse in una delle più recenti sessioni di laurea all’Università Cattolica del Sacro Cuore. In tanti anni di insegnamento, alla professoressa Beatrice Nicolini, docente di Storia e istituzioni dell’Africa, non era mai capitato di accompagnare alla laurea magistrale, in una sola volta, un gruppo così nutrito e motivato di studentesse e studenti.

«Oltre a essere molto gratificante sul piano tanto umano quanto professionale, questa esperienza dimostra il crescente interesse per un insegnamento che sconta, purtroppo, nel nostro Paese ancora diversi limiti – commenta la professoressa –. Una giornata entusiasmante che credo possa essere considerata anche di buon auspicio per l’avvio del Piano Africa, che la rettrice Elena Beccalli ha promosso con grande lungimiranza e coraggio», aggiunge.

I dieci elaborati (questo il termine burocratico, ma secondo la professoressa Nicolini li si potrebbe definire senza remore «veri e propri saggi») affrontano le sfide più determinanti che il continente si trova ad affrontare: la gestione delle risorse, i rapporti con le vecchie e nuove potenze coloniali, le migrazioni, il cambiamento climatico, la relazione speciale con l’Asia. Le tesi hanno, inoltre, il merito di prendere in considerazione non un’area geografica ampia e indistinta, ma alcuni singoli Paesi, restituendo l’enorme varietà di questa regione del mondo in continua trasformazione, in termini di strategie, livelli di sviluppo, prospettive.

Si affrontano, per esempio, l'influenza del petrolio sull'economia in Nigeria, il ruolo strategico di Gibuti nel Corno d’Africa, il commercio illecito dei rubini in Mozambico. Si analizzano, in particolare, gli scambi economici e culturali nel passato e nel presente tra Stati africani affacciati sull’Oceano Indiano e l’India e l’Arabia Saudita, ma anche le ingerenze russe nel Sahel. Si ricostruiscono le cause e le conseguenze della tratta di esseri umani: quelle storiche e meno studiate, come il traffico di schiavi tra la cosiddetta costa Swahili e l’area dell’Oceano indiano, e quelle attuali tra i Paesi sub-sahariani e l’Europa.

Prima ancora di discutere la sua tesi e ottenere il massimo dei voti con la lode, Brian Arnoldi è stato assunto come giornalista dall’Eco di Bergamo, il quotidiano con cui aveva già iniziato a collaborare durante gli studi.

«Sapendo che avevo fatto uno stage in Sudafrica e che stavo approfondendo i miei interessi in Università, la redazione ha iniziato ad affidarmi sempre più servizi che riguardavano il continente e le relazioni sviluppate in quei Paesi da diversi imprenditori del territorio. Poi è arrivata questa proposta. Per cui credo che, senza dubbio, aver scelto di specializzarmi su quei temi mi abbia aiutato anche a realizzare il mio desiderio di lavorare come giornalista», racconta.

Sin dalla laurea triennale in Storia alla Statale, e ancor più durante il corso magistrale in Politiche europee e internazionali all’Università Cattolica, Brian Arnoldi ha sempre coltivato l’idea del giornalismo come possibile sbocco professionale. Negli anni della sua formazione, l’interesse per l’Africa è cresciuto progressivamente, fino a portarlo a dedicare la tesi a un aspetto particolare: l’impatto del cambiamento climatico sulle migrazioni nel Sahel.

«I profughi climatici, fino a qualche tempo fa ignorati, sono ormai una realtà. La loro presenza sarà sempre più significativa nei flussi migratori diretti dall’Africa anche verso l’Europa. Una ragione in più per prendere atto di quanto occuparsi del continente a sud del Mediterraneo sia cruciale per un giornalista, il cui compito è raccontare e cercare di interpretare il presente», sostiene.

Proprio il desiderio di conoscere meglio un tema di scottante attualità ha spinto Raffael Caracoi a seguire prima i corsi della professoressa Nicolini e poi a chiederle di assisterlo nella redazione della sua tesi sulla geopolitica russa in Africa - anche in questo caso un lavoro che è stato valutato con il massimo dei voti e la lode. «Scorrevo sul mio smartphone le notizie sulla presenza dei miliziani del gruppo Wagner in Sahel e mi sono detto ad un certo punto che dovevo saperne di più», spiega.

Ora Raffael Caracoi è assistente locale di un parlamentare europeo, a fine giugno si traferirà a Bruxelles per un corso di formazione. «L’intero percorso di studi - sottolinea - mi ha allenato a guardare i problemi in una prospettiva internazionale e questo mi è stato molto utile per ottenere il mio incarico attuale».

Persino per una tesi storica come quella scritta da Cecilia Maria Ciambrone lo spunto è stato l’osservazione del presente. Il suo studio in inglese, il terzo su 10 premiato con 110 e lode, ha messo in luce le contraddizioni dell’umanitarismo degli inizi del Novecento. In particolare, Cecilia Ciambrone ha analizzato il rapporto redatto dal console britannico Roger Casement sulle atrocità commesse in Congo durante il dominio coloniale belga all’inizio del Novecento.

«Casement, che ho scoperto quasi per caso leggendo una rivista non accademica, è una figura complessa – racconta -. Senza dubbio possiamo considerarlo uno dei primi attivisti per i diritti umani. Tuttavia, rileggendo i suoi scritti, colpisce quanto il suo linguaggio fosse simile a quello di Leopoldo II, il re del Belgio responsabile del sistema che Casement cercava di denunciare».

«Il colonialismo formale è finito, ma – osserva – l’atteggiamento paternalistico con cui l’Europa guarda ancora oggi all’Africa è duro a morire, anche nel mondo della cooperazione. Oggi sappiamo che quell’approccio non aiuta i Paesi africani a svilupparsi, ma crea corruzione, enormi sprechi e ingiustizie. Se vogliamo contribuire davvero al loro progresso, dobbiamo cambiare il nostro sguardo», conclude.

Impegnata come volontaria per una onlus milanese durante gli studi, poi stagista all’ambasciata italiana a Budapest, Cecilia Ciambrone, neolaureata in Politiche per la cooperazione internazionale allo sviluppo, ora si sta preparato al concorso per entrare nel corpo diplomatico e spera di diventare anche lei un giorno ambasciatrice come il protagonista dei suoi studi ma con una sensibilità aggiornata ai tempi.

Più di Casement, infatti, il suo modello sembra essere Luca Attanasio. Destinato anche lui in Congo, ma ad oltre un secolo di distanza dal diplomatico britannico, il giovane ambasciatore italiano, si era distinto per la sua attività umanitaria, prima di essere ucciso in un agguato nei pressi di Goma il 5 settembre 2017.

«Non l’ho conosciuto, ma quando ho lavorato a Budapest, i suoi colleghi mi hanno sempre parlato benissimo di lui. Credo che interpretasse il suo ruolo nel modo giusto e adeguato alle attese di oggi», conclude.     

  

 

 

 


Immagine in alto: Foto di Road Ahead su Unsplash
Immagine seo e anteprima: Foto di James Wiseman su Unsplash

Un articolo di

Francesco Chiavarini

Francesco Chiavarini

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