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Il cambiamento climatico si combatte con l’agricoltura conservativa

14 maggio 2021

Il cambiamento climatico si combatte con l’agricoltura conservativa

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Quali sono le cause del cambiamento climatico e quali effetti ha sul nostro pianeta? È possibile arrestarlo? In che modo possiamo adattarci? E quali sono i riflessi sull’agricoltura e le soluzioni da mettere in campo per soddisfare la crescente richiesta di cibo a livello mondiale?

A queste domande ha riposto il secondo appuntamento dei Cesi Talks che ha ospitato Vincenzo Tabaglio, docente di Agronomia coltivazioni erbacee – in Cattolica studia la nuova agricoltura conservativa e rigenerativa – e Sandra Corsi che per la FAO (l'agenzia delle Nazioni Unite incaricata di guidare gli sforzi internazionali per mettere fine alla fame nel Mondo) si occupa di agricoltura sostenibile nel contesto del cambiamento climatico.

Che la potenza dell’uomo abbia portato a uno sconvolgimento dei cicli bio-fisici della terra è ormai un dato di fatto, così come è certo che il nostro impatto sull’ambiente crescerà”. Lo ha detto il professor Tabaglio, sottolineando come si stia registrando «l’impennata più brusca e marcata della quantità di gas serra in atmosfera degli ultimi 15 milioni di anni».

Se è vero che le condizioni atmosferiche mutano a prescindere, la causa principale dei cambiamenti climatici oggi è individuata nei gas presenti nell’atmosfera come l’anidride carbonica (co2): agiscono come il vetro di una serra, catturano il calore del sole impedendogli di ritornare nello spazio provocando il riscaldamento globale.

Come è possibile ridurre le emissioni di questi gas? Innanzitutto con una serie di azioni di mitigazione del fenomeno – spiega Tabaglio – ma anche con l’adattamento, ricercando soluzioni innovative. L’agricoltura, per esempio, può migliorare geneticamente le colture selezionando nuove varietà che possono tollerare le variazioni del clima».

«Entro il 2050 avremo bisogno del 50% in più di cibo, ma le risorse produttive ancora disponibili ci permettono di aumentare la produzione solo di un 10%», ha sottolineato Corsi. «Inoltre, sul 90% del terreno utilizzato, il 20% è degradato, anche a causa dell’agricoltura tradizionale basata sull’aratura che lo espone maggiormente agli eventi climatici estremi».

«Save and grow», l’agricoltura conservativa, è una delle soluzioni: si propone di combinare rendimento – «produrre di più non è un crimine, ma una necessità» – e sostenibilità attraverso tre principi: semina diretta, copertura permanente del suolo e rotazione diversificata delle colture.

«Nei paesi in via di sviluppo si stima che solo il 10% dell’incremento produttivo derivi dall’espansione delle terre coltivate, mentre l’80% sia rappresentato dall’intensificazione colturale: rotazioni più serrate con tempi di riposo più brevi e aumento delle rese dato da un uso migliore degli imput produttivi», ha fatto presente Sandra Corsi.

L'agricoltura conservativa aumenta la vitalità e la fertilità dei terreni, potenziando la biodiversità, accumula sostanza organica nei suoli, producendo crediti di carbonio, riduce l'erosione e migliora le funzioni ambientali del territorio, mitigando gli effetti del cambiamento climatico.

«In questo tipo di agricoltura – ha spiegato Tabaglio – il suolo non viene arato. In questo modo si ottengono terreni più porosi e ricchi di bio canali che permettono l’infiltrazione dell’acqua e l’aumento della biodiversità».

Nel corso degli anni – ha raccontato Corsi – la FAO ha messo a punto un approccio sistematico che inizia con uno studio del clima insieme all’istituto meteorologico del paese dove vanno a operare che ha una duplice funzione: fornire dati e formare gli agricoltori. In secondo luogo, fanno una valutazione degli aspetti socio-economici, culturali e istituzionali. Infine, individuano insieme le attività agronomiche attuabili per rendere il sistema più efficiente nell’immediato e lavorano su un obiettivo di medio lungo periodo.

«Le pratiche vanno cucite sartorialmente sulle esigenze degli agricoltori. Il nostro compito – ha concluso Corsi – è portarli a scegliere con consapevolezza soluzioni produttive sostenibili».

Un articolo di

Valentina Stefani

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