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Il circo bianco a Pechino in attesa di Milano-Cortina

03 febbraio 2022

Il circo bianco a Pechino in attesa di Milano-Cortina

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Pubblichiamo la testimonianza della grande campionessa Deborah Compagnoni ospitata dalla sezione “L’intruso” del numero 6/2021 di “Vita e Pensiero”, il bimestrale culturale dell’Università Cattolica.


Mi hanno chiesto se non faccia una strana impressione pensare che le Olimpiadi si svolgeranno a Pechino. Devo ammetterlo: non è proprio una metropoli che in prima battuta evochi gli sport invernali. Ma questo è un segno dei tempi: in fondo è da Torino 2006 che il grande appuntamento a cinque cerchi si svolge lontano dall’Europa. Prima a Vancouver, poi a Sochi, infine a Pyeongchang e Pechino: anche se non in modo lineare, è un percorso che per certi versi ricalca le trasformazioni degli equilibri geopolitici, oltre che sportivi. Bisogna prenderne atto.

Ho vinto tre ori in tre Olimpiadi diverse e sono stata portabandiera a Lillehammer (1994); come atleta, di fatto, ho comunque vissu- to Olimpiadi del secolo scorso e ho attraversato una stagione diversa degli sport invernali. Mi resta la consapevolezza di aver contribuito, con le mie prestazioni, a imporre lo sci, e lo sci femminile soprattutto, all’attenzione del grande pubblico. Senza nulla togliere ad altre grandi campionesse che mi hanno preceduto, come Ninna Quario e Paola Magoni.

Un articolo di

Deborah Compagnoni

Deborah Compagnoni

Campionessa olimpionica - Consulente e ambassador Milano-Cortina 2026

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Tra le mie fortune – è giusto riconoscerlo – c’è stata quella di avere avuto come collega Alberto Tomba: con il suo carisma “popola- re” ha trasformato lo sci in un movimento che ha superato la cerchia ristretta delle élite.

C’è un esempio, piccolo ma significativo, che ricordo spesso per dimostrare questa svolta. Con le mie prime vittorie e con l’esplosione del fenomeno Tomba, la «Gazzetta» assegnò per la prima volta un giornalista “dedicato” allo sci femminile, Pierangelo Molinaro. Per quei tempi era come raggiungere, di colpo, migliaia di nuovi potenziali appassionati; fatte le debite proporzioni con la velo- cità della comunicazione contemporanea, è come se in poco tempo il numero dei followers fosse cresciuto in maniera esponenziale.

E a proposito di come è cambiato lo sci, non c’è dubbio che le nuo- ve frontiere della comunicazione digitale abbiano inciso fortemente anche su questo ambito. I campioni sono molto più “padroni” della loro immagine, ma è anche vero che cresce il divario fra i campioni che vincono e i campioni che, insieme alle vittorie e magari nono- stante le vittorie, sanno raccontarsi meglio. Poi non c’è dubbio che la digitalizzazione abbia favorito la possibilità di vedere le gare un po’ à la carte, mentre un tempo gli orari (mattutini e talora feriali) erano problematici per il grande pubblico generalista. Le dirette da Pechino avranno ancora e comunque il limite degli orari, non proprio consoni ai tempi europei. Ma è l’ultimo sforzo: dal 2026 si torna in Italia, e agli orari canonici. E almeno nei week-end sarà tutto più facile.

 

Comunque, che siano a Pechino o sulle Alpi, le Olimpiadi hanno sempre questo di speciale: che sono una gara unica e non ti puoi concedere il lusso di sbagliare. Come gli esami per gli studenti, sono appuntamenti che mettono addosso una pressione letteralmente “straordinaria”. Per me non era un problema così rilevante, perché non ne subivo il peso; però è indubbio che non per tutti sia così, e che il rischio di perdere l’occasione della vita possa incidere pesantemente sulla prestazione. Per quel che riguarda le gare di sci cinesi, non azzardo previsioni, ma mi permetto due auspici: Domme Paris si meriterebbe davvero il più alto dei podi, e di sicuro la squadra delle ragazze potrebbe confermare quanto di bello ha già fatto negli ultimi due anni con la prima Coppa del Mondo generale di Federica Brignone e le coppe di specialità di Brignone, Bassino e Goggia. Se l’auspicio, almeno in parte, diventasse realtà sarebbe davvero un buon viatico per Milano-Cortina.

Se azzardo a traguardare già oggi un orizzonte così lontano, ovvero il 2026, è perché di quelle Olimpiadi sono orgogliosamente parte in causa – ancora con Alberto ovviamente! – nelle vesti di Ambassador e Consulente.

Sono convinta che Milano-Cortina rappresenterà uno snodo essenziale nella storia dell’organizzazione olimpica e non tanto perché vedremo la prima medaglia d’oro anche nello scialpinismo novità che comunque mi appassiona molto e non solo perché la gara si dovrebbe tenere a Bormio, sui pendii delle mie montagne valtellinesi; la sfida più grande e profonda, infatti, sarà quella di rendere concreto il valore della sostenibilità economica, sociale e ambientale. Sarà l’evento ad adattarsi al territorio e non viceversa.

E non sarà un blablabla, nella misura in cui si realizzeranno strutture che avranno un senso anche per gli anni a venire o si riqualificheranno strutture già utilizzate. Non solo: sarà importante concretizzare il lavoro programmato sull’utilizzo di materiali ecologici, in grado di alimentare l’economia circolare. Oltre alle gare e ai risultati, questi saranno i messaggi più autentici che dovremo riuscire a trasmettere a tutti, appassionati o curiosi che siano. Diversamente, sarebbe un’oc- casione sprecata, un po’ come perdere la gara della vita. Ma sono ottimista, per quanto consapevole che non sarà semplice: il livello di collaborazione fra istituzioni ed enti locali messa in campo in questi primi anni mi sembra destinato a portarci lontano.

Ad esempio, verso un diverso modello di sviluppo dei territori montani e delle terre alte. Quelle da cui anch’io vengo. Non è più il tempo di guardare a modelli non replicabili (penso all’incidenza che il sistema del “Maso chiuso” ha avuto sulla salvaguardia dei paesaggi dell’Alto Adige), ma serve accendere un po’ l’immaginazione per percorrere strade nuove, strade su cui ci siamo già in parte incamminati. Serve un turismo più attento, che guarda alla montagna con l’obiet- tivo di farla vivere senza consumarla, di attraversarla senza sfruttarla. E serve un occhio di riguardo verso le nuove generazioni, a partire da quelle che già abitano le comunità montane. Per tutto questo c’è bisogno anche di studio e formazione: dunque ben vengano i giovani che scendono a valle a studiare, ma meglio se poi ne favoriamo il ritorno in quota. Dalle mie parti, ad esempio, sono molti quelli che dopo la laurea, e magari dopo aver fatto significative esperienze internazionali, tornano in montagna. Senza dubbio è un processo che arricchisce le persone, le comunità e le istituzioni.

Da parte mia, ma è solo un piccolo esempio, vorrei, da sportiva e da mamma, favorire il ritorno a una vita sana. Il lockdown – da questo punto di vista – è stato per me un’occasione straordinaria di immersione solitaria nella natura. Ho passeggiato da sola, come non facevo da tempo, all’aria aperta. Poi c’è il cibo: sono nata in un albergo dove la cucina era una passione, alimentata dalla creatività che si era generata dall’incontro fra la cucina valtellinese della nonna e quella veneziana del nonno. Poi, però, ho avuto comunque seri problemi con l’alimentazione a causa di un intervento all’intestino. Da tutte queste esperienze ho ricavato una lezione semplice, ma essenziale: il prodotto locale, l’adattamento ai tempi del raccolto, la gastronomia sana – anche quando è “povera” – sono ingredienti determinanti della qualità della vita. Se poi ci aggiungiamo una giusta dose di vita a diretto contatto con la natura, la rigenerazione è assicurata.

Sono cose che la montagna sa offrire e la cui consapevolezza sociale, forse, potrebbe significativamente aumentare anche grazie agli sport invernali e alla loro crescente visibilità.

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