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Il filo invisibile del fare che unisce La Capria e Del Vecchio

28 giugno 2022

Il filo invisibile del fare che unisce La Capria e Del Vecchio

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Sarà un caso che nella stessa giornata siano venuti a mancare Raffaele La Capria e Leonardo Del Vecchio, due figure di primo piano della letteratura e dell’imprenditoria, capaci di testimoniare con il loro esempio, con le loro opere, una lunga fedeltà al mestiere che hanno scelto (sia l’uno che l’altro hanno continuato a lavorare anche in tardissima età), sia a quella innata disposizione a non dare mai nulla per scontato, tanto nei fatti dell’immaginazione letteraria quanto in quelli della produzione industriale. Ricordare entrambi, accomunandoli a questa data, non è soltanto un modo per celebrarne il successo, ma per ribadire che un filo invisibile scorre tra le regioni apparentemente lontane del loro agire, come possono essere quelle del fare libri e del fare oggetti (tra l’altro, oggetti spesso propedeutici alla lettura dei libri, come sono, appunto, gli occhiali). In fondo, per l’uno e l’altro, la vita ha riservato il privilegio di essere una lunga frequentazione con il Novecento.

La Capria ha osservato con una lente inedita gli esiti della città dove è nato nel 1922 e a cui ha continuato ad appartenere anche quando si è trasferito altrove. Sto parlando di Napoli, ma non quella consueta della cartolina con il Vesuvio e il pino di Posillipo, piuttosto la Napoli delle insoddisfazioni giovanili, delle crisi esistenziali narrate alla maniera di una Roma felliniana o di una Parigi da rive gauche, su cui agiva quella che La Capria stesso chiamava la “ferita della Storia”, il fallimento di un sogno che aveva una precisa data: la Rivoluzione del 1799, l’alba di una nuova storia conclusasi troppo in fretta e assai prima. Se dovessimo pensare a com’era la Napoli di quando è nato e metterla in corrispondenza con quella del nostro presente, non faticheremmo ad accorgerci che vivere, per La Capria, ha assunto il significato di verificare le stratificazioni della Storia.

Così è stato anche per Del Vecchio, nato a Milano nel 1935 in condizioni umili, eppure capace di creare a soli 26 anni, cioè nel 1961 (lo stesso anno in cui fu pubblicato il capolavoro di La Capria: Ferito a morte, Premio Strega), l’impresa che poi sarebbe diventata Luxottica. Uno e l’altro hanno interpretato il loro tempo, che è stato felice perché è coinciso con la stagione più esaltante della nostra nazione. La migliore creatura di entrambi, infatti, ha visto la luce durante il periodo del boom e c’è da credere che a quella stagione luminosa abbiano attinto la forza per durare, come dimostra la credibilità del loro lavoro. Tutto ciò conferma che esiste un rapporto vicendevole tra progresso tecnologico e narrazione della modernità. Ed è questa, in fondo, il lascito di entrambi e anche il loro magistero.

 

Un articolo di

Giuseppe Lupo

Giuseppe Lupo

Docente di Letteratura italiana contemporanea

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