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Il futuro del lavoro passa dalla dottrina sociale della Chiesa

07 maggio 2021

Il futuro del lavoro passa dalla dottrina sociale della Chiesa

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Mai come ora, in tempo di pandemia, il mondo del lavoro si presenta nella sua complessità, evidenziando pregi e criticità causati dall’aumento della disoccupazione, dalle varie forme di lavoro nero e precario, da nuove modalità lavorative e dalle difficoltà di chi un lavoro ce l’ha ma … anela alla pensione.

La festa del lavoro nei suoi risvolti civili e religiosi - il 1° maggio la Chiesa celebra San Giuseppe lavoratore, alla cui figura papa Francesco ha dedicato quest’anno - è stata ricordata dall’Università Cattolica nel webinar “Il futuro del lavoro secondo la dottrina sociale della Chiesa”, riunendo giuslavoristi ed economisti che si sono confrontati sulle voci attinenti al tema del lavoro raccolte nel Dizionario della dottrina sociale della Chiesa.

Ne è emerso un dibattito a più voci che ha analizzato in tutte le sue sfaccettature un tema cruciale per la nostra società. Moderato da Diego Boerchi, docente di Psicologia dell’orientamento e sviluppo di carriera nella Facoltà di Scienze della formazione, e introdotto dagli interventi di Simona Beretta, direttore del Centro di Ateneo per la dottrina sociale della Chiesa e coordinatore editoriale del Dizionario di dottrina sociale della Chiesa, e da don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per il problemi sociali e il lavoro della Conferenza Episcopale Italiana, al seminario sono intervenuti i docenti della Cattolica che hanno contribuito ad approfondire nel Dizionario alcuni aspetti relativi al futuro del lavoro. Tra loro Antonella Occhino, preside della facoltà di Economia e docente di Diritto del lavoro, autrice della voce “Istruzione e formazione professionale”, Elena Cottini, ricercatrice del Dipartimento di Economia e finanza e autrice con l’economista Claudio Lucifora della voce “La globalizzazione e il mercato del lavoro”, Vincenzo Ferrante, docente di Diritto del lavoro nella facoltà di Giurisprudenza, autore della voce “Lavoro informale (in Italia e nei Paesi ad alto reddito)”, Michele Faioli, docente di Diritto del lavoro presso la facoltà di Economia, autore della voce “Lavoro povero: un approccio giuridico”, Marco Vivarelli, direttore del Dipartimento di Politica economica, autore della voce “Cambiamento tecnologico e occupazione”, lo stesso professor Boerchi, autore della voce “Disoccupazione”, e Mirko Altimari, ricercatore del Dipartimento di diritto privato e pubblico dell’economia, autore della voce “Lavoratori e famiglia”.

Le problematiche emerse, vagliate alla luce degli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa e dei principi costituzionali, sono state contestualizzate nell’attuale periodo pandemico che sicuramente non aiuta l’occupazione, avendo causato la perdita di tanti posti di lavoro che non andranno ad occuparsi in tempi brevi. E il lavoro nero e precario, con i suoi risvolti di sfruttamento e di non riconoscimento, ha avuto ampio implemento con tutti i disagi sociali, economici ed etici che implica. Per questo tale periodo è stato definito anche “del non lavoro”, con il reddito di cittadinanza che ha svuotato il lavoro del suo significato.

La globalizzazione, sotto forma di delocalizzazione ispirata a una logica di migliore efficienza di allocazione delle risorse, con un costo basso e condizioni sfavorevoli per lavoratori meno qualificati, ha creato povertà per i più fragili oltre alla contrazione del tasso di disoccupazione e non ha realizzato l’equa distribuzione delle ricchezze. Di qui l’indicazione che la qualificazione professionale è la chiave di soluzione in tempo di crisi per far passare i lavoratori dai settori in difficoltà a quelli di sviluppo.

Inoltre, non ci sarà garanzia di lavoro dignitoso se non ci sarà un minimo salariale orario, la possibilità di rivendicarlo e l’esistenza di apparati amministrativi che garantiscano il rispetto delle norme.

L’uso massiccio dello smart working, poi, avvenuto quasi all’improvviso e senza adeguata programmazione, ha messo in evidenza una serie di problemi ai quali dovrà porre rimedio il legislatore, cercando di prevedere modalità che, pur con gli innegabili vantaggi per l’azienda e i lavoratori, tutelino questi ultimi anche dal punto di vista psicologico e della qualità della vita. In tale contesto emerge l’importanza della tutela della famiglia che non si attua con il concedere qualche centinaio di euro in più ma con norme e comportamenti legati a una rinnovata cultura del lavoro di ampio respiro che non sia episodica ma integrale ed effettiva.

È un dato di fatto che i conflitti interpersonali rendano il mondo del lavoro invivibile per cui chi arriva alla pensione viene quasi invidiato da colleghi che non sanno neppure quando e come raggiungeranno tale meta agognata. Questa fuga dal contesto lavorativo da parte di chi oggi un lavoro ce l’ha pone qualche interrogativo, quanto meno a livello etico, sulle condizioni di vita del mondo del lavoro.

Un elemento costante nei vari interventi è stato quello della dignità della persona in tutte le stagioni della vita lavorativa, che consente all’individuo non solo di risolvere il sostentamento suo e della famiglia ma anche di vivere la propria realizzazione personale nella quotidianità.

Così è derivato l’invito a educare le nuove generazioni – e qui l’Università svolge un ruolo importante e precipuo - al senso del lavoro che diventa cura nelle relazioni della nostra umanità. La dottrina sociale della chiesa ha come obiettivo di umanizzare il lavoro, e far sì che le persone attraverso il lavoro si sentano realizzate e realizzino un mondo migliore.

Il lavoro inteso come vocazione e realizzazione di sé, in coerenza con le proprie attitudini e capacità, consente pertanto una maggiore soddisfazione e agevola le persone nel portare il loro contributo alla società.
 

Un articolo di

Agostino Picicco

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