Come possiamo costruire le condizioni perché la tecnologia possa essere rispettosa della persona e non prenda il sopravvento? L’impatto delle tecnologie sugli esseri umani è certamente una questione aperta e che pone molti interrogativi. Dopo due anni di emergenza sanitaria lo è ancora di più.
Il Centro di Ateneo sulla dottrina sociale della Chiesa dell’Università Cattolica e dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo di Studi Superiori ha ideato il ciclo di seminari “Le cose nuove del XXI secolo. Una proposta formativa” e il 14 giugno si è svolto il primo dedicato a “Lavoro e tecnologie. Crisi del vecchio, speranza nel nuovo”, moderato da Diego Boerchi, docente di Psicologia dell’orientamento e sviluppo di carriera dell’Ateneo.
È ormai quasi una prassi personificare gli oggetti tecnologici con cui entriamo in contatto. Dal pc sul quale sfoghiamo la frustrazione di non aver salvato un documento perdendo il lavoro di ore, ad Alexa in casa a cui chiediamo di adempiere a compiti specifici, a Siri che interpelliamo sul cellulare per avere informazioni. Ma occorre distinguere tra automazione e intelligenza artificiale. Come ha spiegato Mario Maggioni, docente di Economia dell’innovazione dell’Ateneo, si parla di automazione riferendosi a robot che gestiscono informazioni pre-codificate e di intelligenza artificiale quando la macchina interagisce con l’uomo. «Un primo impatto riscontrabile nella realtà è il cosiddetto “margine estensivo”: in primo luogo la diffusione delle macchine crea ma soprattutto distrugge posti di lavoro, in secondo luogo bisogna fare i conti con la trasformazione delle professioni perché la tecnologia modifica molti dei lavori esistenti».
Gli economisti hanno scomposto ciascun lavoro in una serie di azioni, di tasks e si domandano quanti di questi sono eseguibili da un robot o da un algoritmo. In questo modo si può capire qual è il rischio di sostituzione tra gli uomini e le macchine.
«In generale per quanto riguarda l’automazione industriale sono più a rischio le attività con pochi skills, mentre nell’ambito dell’intelligenza artificiale è il contrario. Allora forse vale la pena di capire quali siano le possibili soluzioni al problema. L’istruzione offre competenze che possono essere erose dalla tecnologia ma anche la capacità di imparare. E le competenze più richieste nel mondo del lavoro sono creatività, originalità, ragionamento critico, apprendimento attivo, intelligenza emozionale, problem solving, tutte competenze non sostituibili da una macchina perchè relazionali e interattive sui contenuti e nel rapporto con gli altri».
E proprio sull’importanza delle relazioni ha insistito anche Ivana Pais, docente di Sociologia economica, che ha parlato di nuove possibilità che si stanno aprendo post pandemia nella misura in cui siamo costretti a rivedere tutto, a interrogarci su come cambiare e utilizzare le nostre energie. «Si pensi all’utilizzo del crowfunding durante la pandemia. In pochissimi giorni, se non ore, alcune persone hanno capito che in quella tecnologia si poteva favorire il coordinamento di persone anche sconosciute per raccogliere fondi per le strutture sanitarie in grande difficoltà. L’Italia è stato il paese con maggiore attivismo con raccolte fondi per queste infrastrutture, anche se gli ospedali non erano predisposti ad accogliere i finanziamenti. Tantissimi studenti che hanno pensato di raccogliere fondi per le proprie città, studenti non residenti nella città dove vivono ma che li accoglie durante gli studi».
Un esempio di creatività attiva in grado di far tesoro dei limiti vissuti e di trasformarli. In ambito professionale, se la modalità da remoto sperimentata durante la pandemia non è stata per niente agile ed è stata spesso irrispettosa della dignità della persona, ad esempio in termini di orari di lavoro disumani, oggi è comunque forte la richiesta di ripensare tempi e spazi di lavoro.
«In quale direzione vogliamo andare? - si è chiesta Ivana Pais -. Verso uno scenario che si muove nella direzione di una “città a domicilio” dove ci chiudiamo in casa, riceviamo pranzi e cene e acquistiamo online, oppure verso uno scenario in cui usiamo le tecnologie come infrastrutture relazionali che ci permettano una diversa organizzazione del lavoro e un’interazione con i nostri territori?».
Non poteva mancare l’aspetto giuridico relativo all’introduzione delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro. Secondo Michele Faioli, docente di Diritto del lavoro «per i giuslavoristi ragionare di tecnologia significa ragionare di regole per l’organizzazione del lavoro, provando a sfidare questo tema con un approccio intelligente ovvero quello che non accetta una logica di blocco della tecnologia».
«La contrattazione collettiva è il mezzo per raggiungere il fine, cioè tutelare la dignità della persona, come richiede anche la dottrina sociale della Chiesa» - ha dichiarato Faioli che ha spiegato come le organizzazioni sono basate sul business plan, e come la regolamentazione non dovrebbe riguardare la singola regione, o la nazione ma essere addirittura transnazionale. L’Europa sta per introdurre regolamentazioni intorno all’intelligenza artificiale, con grandi cantieri su cui si sta esercitando. Negli Stati Uniti, invece, dove ci si chiede come introdurre regolamentazioni, non ci sono cantieri aperti. La sfida del legislatore è proprio quella di trovare un equilibrio nel dialogo transatlantico».
Naturalmente l’applicazione della regolamentazione deve poi tener conto delle singole realtà locali pensando a come incidere sull’orario di lavoro, sulla retribuzione, sulle mansioni, a definire l’attività specifica della macchina intelligente rispetto a quella umana. La contrattazione collettiva deve rapportarsi con l’unità produttiva, con le piattaforme intelligenti che permettono al robot di avere un dialogo interattivo con la macchina».
Una battuta del professor Maggioni, in risposta a una domanda del moderatore Boerchi, ha chiuso l’incontro sollecitando una riflessione profonda sull’interazione tra uomo e macchina: «I prodotti e i servizi che più difficilmente possono essere sostituiti dalle macchine sono quelli che coinvolgono il concetto di cura. E in questo perimetro possiamo considerare anche il rapporto tra docente e discente, tra venditore e cliente…».