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«Il racconto della guerra recuperi la parola poetica»

19 novembre 2022

«Il racconto della guerra recuperi la parola poetica»

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La premessa di Antonio Spadaro è questa: «Sto cercando di capire come la parola letteraria e la guerra possano declinarsi insieme. In caso di guerra, la parola letteraria può essere risonanza della coscienza, una forma di resistenza». Il direttore di “Civiltà Cattolica”, gesuita e accademico, critico letterario con la passione dell’arte, è stato ospite del secondo appuntamento di Cives, lo spazio di formazione civica e di riflessione promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore insieme alla diocesi di Piacenza-Bobbio, al Laboratorio di economia locale e alla Fondazione di Piacenza e Vigevano, che quest’anno ha come titolo “Zona Franca”.

Davanti al vescovo monsignor Adriano Cevolotto, Spadaro è intervenuto sul tema “Le parole della guerra”, indagando cosa abbia da dire la parola, quella poetica, rispetto al conflitto che è scoppiato in Europa.

Un excursus, il suo, che ha mostrato come la letteratura sia stata spesso intesa come sismografo di umanità in quanto registra ciò che l’uomo può dire di fronte al dramma. «Da Omero in poi il materiale non manca, perché purtroppo la guerra è da sempre stata cara agli uomini. Nella sua Estetica, Hegel individuava nella guerra un evento opportuno per la letteratura, poiché si tratta della situazione più appropriata del genere epico: crea uno sfondo generale sul quale si mette in risalto l’eroe, la vicenda personale di un uomo».

Per Spadaro la svolta nell’immaginario bellico avviene durante la Prima Guerra Mondiale. «La guerra è sempre più mediata da ordigni bellici - afferma - si perde l’eroe, dall’illuminismo al Novecento si stemperano i tratti estetici ed eroici della guerra, solo la prosa del Notturno di D’Annunzio ne resta fedele. C’è, in sintesi, un depotenziamento della vittima».

Il punto su cui si concentra Spadaro è che se «la poesia è più capace di descrivere significati e balbettii, il linguaggio descrittivo è invece quello del referto che certifica, ma che non riesce a comunicare emotività e sensibilità». Passa attraverso i versi di Giuseppe Ungaretti, le citazioni di Italo Calvino e di Imre Kertész per giungere poi ad approfondire il concetto che più gli preme. «Resta il bisogno di trovare le parole per dire la tragedia - spiega Spadaro - ma di fronte alla guerra la parola ha un’alternativa: o resta sul livello dell’analisi come accade oggi, per cercare magari i torti e le ragioni di parte, cosa però che per me non è sufficiente, oppure si chiude nel silenzio, o ancora ha la possibilità di raccontare il dramma attraverso una parola densa come può essere quella poetica. Manca oggi la parola empatica che comunica il senso della tragedia. Forse, solo alcuni reporter riescono a comunicarlo».

Un articolo di

Redazione

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