«Le cosiddette arti performative erano riti collettivi che richiedevano una partecipazione comune a una rappresentazione e anche l’andare al cinema presupponeva un’azione compiuta insieme». Con queste parole il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli ha aperto l’incontro “Ripensare il valore culturale ed economico del film, fra sala cinematografica e piattaforme di streaming” che sabato 3 settembre ha animato lo Spazio FEdS alla 79° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
Oggi, dopo la pandemia, le sale sono molto meno frequentate e la visione condivisa di un film rischia di diventare un ricordo tanto nelle sale quanto nelle case dove ciascuno fruisce di prodotti a scelta sul proprio device. All’incontro, promosso dal Ce.R.T.A. (Centro di ricerca sulla televisione e gli audiovisivi) della Cattolica in collaborazione con l’Ente Fondazione dello Spettacolo, il Rettore ha ricordato la tradizione dell’Ateneo e la genealogia di maestri, a partire da Apollonio, «tra i primi ad accorgersi che il tema del cinema e degli audiovisivi meritava di essere nobilitato nell’approccio scientifico e culturale».
«La coralità, la dimensione di scambio e di comunità che ha una valenza culturale fortissima con questo tipo di approccio alle opere cinematografiche e televisive è cambiato e cambia anche quella microcomunità o collettività dell’accostarsi all’opera e alla storia che c’era almeno nelle famiglie nel guardare insieme la tv - ha continuato il Rettore -: un grande guadagno di libertà ma alla libertà e alla valorizzazione della scelta individuale spesso si accompagna il risvolto della solitudine. Quindi nell’abbandono delle sale non dobbiamo leggere soltanto un fenomeno commerciale e industriale ma anche l’arretramento rispetto a un modello culturale che scivola verso un sempre maggiore individualismo fino a diventare monadismo e forse anche solitudine».
Una sollecitazione arricchita dalle parole di monsignor Davide Milani, presidente della FEdS che ha rinnovato l’alleanza tra la Fondazione Ente dello Spettacolo la Cattolica, «le cui analisi accademiche e scientifiche ci aiutano a essere rigorosi e precisi e il tema proposto ci è particolarmente caro. Il nostro lavoro sui territori ci dimostra che iniziative come festival e rassegne mettono in moto processi culturali e generano effetti economici. E da parroco aggiungo che la sala cinematografica può valorizzare la pastorale».
A prendere la parola è stato poi Massimo Scaglioni, direttore del Ce.R.T.A., che ha visto in questo incontro un momento particolarmente propizio perché con la Mostra di Venezia a settembre riparte la stagione cinematografica che è piombata in una crisi soprattutto delle sale. Quali sono le ragioni del ritardo del ritorno in sala? Non ne esiste una unica ma molte che si fondano su target di età diverse. «Ci si domanda chi siano i “nemici” della sala considerando il suo riconosciuto valore culturale - ha spiegato Scaglioni -. Tra le possibili cause: i troppi prodotti da valorizzare, il ruolo delle piattaforme, l’acuirsi di problemi già presenti prima della pandemia come il rapporto mutato tra distribuzione teatrica in sala e distribuzione post teatrica sulle piattaforme». Il prodotto italiano ha, in effetti, la debolezza di avere un numero forse eccessivo di film prodotti. Poi il professore ha accennato al tema delle finestre e delle esclusive, a quello della dicotomia, oggi in crisi, del cinema italiano che ha sempre puntato su due grandi generi, il cinema d’autore e la commedia, al tema dell’internazionalizzazione e a quello della percezione del valore culturale del cinema interrogandosi su cosa si può fare nelle scuole, nell’università per la percezione del cinema».
Sul tema della sovrabbondanza del prodotto italiano è intervenuto Marco Cucco, direttore Master in Management del Cinema e dell’Audiovisivo, Università di Bologna che ha dichiarato che «l’Italia è il sesto produttore di film e documentari al mondo, il primo in Europa. Il boom della produzione è l’esito di più cause: l’avvento del digitale che ha abbattuto i costi di produzione, gli incentivi fiscali, il tax credit». Il professore ha concluso dicendo che i linguaggi e storie stanno cambiando e dobbiamo ascoltare i giovani nelle giurie e che sono i potenziali spettatori.
A parlare di giovani è stata anche Daniela Persico, direttrice artistica del Bellaria Film Festival, che ha posto il problema di trovare interlocutori per educare i giovani che «torneranno al cinema se sapranno riconoscere le sale come posto dove ripensare al loro futuro e dove trovare prospettive reali e di apertura sui temi che a loro interessano». I festival sono un’occasione da non sottovalutare perché da sempre sono un territorio di sperimentazione. «La gente vuole tornare al cinema - ha dichiarato Persico - e in effetti c’è, come ha dimostrato il Festival di Locarno dove quest’anno si è tornati ai numeri del 2019. I festival sono promotori di piccole comunità e il pubblico partecipa a un festival perché segue la linea artistica proposta».
Anche Riccardo Costantini di Cinemazero, che ha il più longevo festival di documentari, ha evidenziato il successo di queste manifestazioni che si svolgono sul territorio e ha sottolineato l’importanza di «recuperare un’attitudine e un comportamento del pubblico che è fatto di individui, e l’educazione a vedere qualcosa di importante e di valore».
Le sale sono in sofferenza anche perché, come ha specificato Mario Lorini, presidente dell’ANEC, Associazione Nazionale Esercenti Cinema, negli ultimi mesi la priorità è stata mettere in sicurezza tutto il sistema, mentre ora il nuovo parlamento potrà continuare il lavoro già iniziato sui nodi più importanti».
Una sofferenza condivisa da Domenico Dinoia, presidente della FICE, associazione dei cinema d’essai: «Senza contributi pubblici le strutture non stanno in piedi, soprattutto considerando il rincaro energetico che incide molto sulle sale. Inoltre, di fronte alla disaffezione alla sala, è impensabile che il pubblico vada al cinema a vedere film che non conosce mentre si riversa a vedere i grandi blockbuster e con questo noi non possiamo competere».
Quando è subentrato un contributo pubblico i risultati si sono visti, come ha spiegato Gianluca Bernardini, presidente dell’ACEC: «Non si tratta solo di un investimento economico ma anche di dare valore a spazi che spesso sono gli unici presidi culturali sui territori. Il 60% delle sale hanno usufruito di un contributo pubblico e riapriranno 28 sale della comunità grazie a questo. Noi abbiamo anche organizzato un corso sul futuro e la sostenibilità della sala realizzato con l’Università Cattolica e la professoressa Mariagrazia Fanchi, direttrice di ALMED (Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo). Il cinema è una religione e la sala la sua chiesa!».