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In Brianza un ex monastero ospita migranti e richiedenti asilo

29 giugno 2022

In Brianza un ex monastero ospita migranti e richiedenti asilo

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Ad accoglierci è l’entrata di un ex-convento, il pratino all’inglese di quella che un tempo fu la casa di riposo delle Suore di Maria Bambina, un luogo che negli anni il Comune ha provato a trasformare in una scuola per l’infanzia, prima di abbandonarlo definitivamente fino a quando, nel 2016, si decise di dare a questa palazzina una nuova vita come centro comunitario per migranti.

Noi partecipanti del master in "Relazioni d'aiuto in contesti di sviluppo e cooperazione nazionale e internazionale" dell'Università Cattolica abbiamo colto l'opportunità di visitare il CAS (Centro di Accoglienza Straordinaria) di Camparada che proprio nel 2016 rispose all’emergenza di nuclei familiari in arrivo dal Medio Oriente e dal continente africano. Oggi ospita per la maggior parte uomini adulti, riservando uno spazio all’ultimo piano a famiglie o donne con figli a carico. 

Un’esperienza avviatasi con fatica, iniziata con quattro teste di maiale e uno striscione “no immigrati” sulla cancellata dell’ingresso in seguito all’annuncio di apertura del centro. A raccontarcelo è Marta Macina della Cooperativa sociale Meta, educatrice e mediatrice culturale. «Per fortuna in poco le tempo le persone in paese si sono rese conto che non hanno nulla da temere» da chi vive nel centro, per la maggior parte giovani che anzi aiutano il vicinato prestandosi occasionalmente a lavoretti manuali per chi lo richiede.

Gli ospiti che abitano la struttura provengono da centri di “prima accoglienza”, come quello di Via Spallanzani o di Agrate. Dopo un breve periodo in questi luoghi di transito, vengono trasferiti in centri comunitari come quello di Camparada, tappa intermedia in vista dell’indipendenza abitativa. Si tratta di un luogo dove «i ragazzi imparano le regole del vivere negli appartamenti» - descrive Sergio Resnati (Cooperativa Meta), responsabile del CAS. «Ci troviamo ad accogliere persone che arrivano da un lungo viaggio», uomini e donne che spesso hanno da attendere anche anni prima di vedersi riconosciuta la richiesta d’asilo dallo Stato italiano.

Le persone qui ospitate non hanno ancora un permesso di soggiorno, ma si trovano piuttosto in quel limbo che li classifica come “richiedenti asilo”. All’arrivo in Italia, fanno generalmente richiesta di “protezione internazionale”, per poi eventualmente essere riconosciuti come garanti di asilo politico, protezione per casi speciali, ecc. La delibera del permesso di soggiorno è a scapito di una commissione territoriale, con il compito di revisionare le richieste di migranti in arrivo e di approvarle o meno in considerazione della storia personale di ciascuno.

Uno step impegnativo per molte persone che arrivano da Paesi dove non vige la nostra serrata logica cartesiana e che possono quindi trovarsi in difficoltà nel definire con precisione la cronologia del proprio viaggio, il periodo di permanenza in eventuali altri Paesi prima dell’Italia, le ragioni della migrazione e le prospettive di vita future. Tutte domande alle quali ciascuno viene sottoposto con rigoroso formalismo, un colloquio decisivo in vista del quale gli operatori del CAS supportano i ragazzi con incontri preparatori. 

Il centro è un luogo di sperimentazione di alcuni circoli virtuosi come l’orto comunitario, molti dei quali inevitabilmente sospesi con il diffondersi della pandemia COVID-19. Alcuni dei servizi ripresi negli ultimi mesi contano il consulto psicologico, l’assistenza sociale, e il medico di base. “Camparada”, come familiarmente l’hanno ribattezzata i suoi ospiti, offre poi corsi di italiano finalizzati all’inserimento sociale e lavorativo, come ci racconta questa volta Valeria Molino di Sociosfera ONLUS, antropologa culturale laureata in Scienze della Formazione. Da poco, la struttura prevede anche di un’aula fornita di computer messi a disposizione da STMicroelectronics Foundation, dove si terranno corsi di informatica base.

Vediamo intervenire diverse persone, ognuna delle quali ci racconta un pezzettino della storia di quella che ormai alcuni ospiti considerano casa da 4 anni o più. Poi arriva Danilo di Sociosfera ONLUS, educatore e coordinatore delle unità abitative di Camparada, che ci aiuta a comprendere la struttura gestionale della realtà nella quale siamo accolti. Il centro è congiuntamente gestito da diverse cooperative capofilate da Cooperativa PoP, unico ente giuridicamente accreditato a relazionarsi con la prefettura. Un lavoro di squadra che conta professionisti di diverse realtà, in uno sforzo di collaborazione e sinergia quotidiano.

Dopo aver visitato la struttura e averne conosciuto le attività, ci ritroviamo al piano terra, in un grande salone dove ad attenderci vi è un’inaspettata merenda allestita appositamente per noi. Ci sediamo in cerchio e ci mettiamo in ascolto di alcuni ospiti del centro che, ognuno con generosa pazienza, ci rendono testimoni della loro storia personale, del loro approdo in Italia e della loro vita a Camparada. Uno di loro, richiedente asilo politico perché perseguitato dal governo del suo Paese, un altro dal Mali, dove il terrorismo ha costretto la sua famiglia alla fuga, un altro ancora dalla Costa d’Avorio, che in Italia tenta di ricostruirsi un futuro con quello che era il suo lavoro in Africa, il sarto. Racconti preziosi, che ci sentiamo in dovere di custodire e dei quali speriamo di farci portavoce fedeli. 

Lascio il centro con il cuore pieno e la testa pesante, non potendo fare a meno di constatare la disparità di trattamento riservata a chi proviene da qualsiasi altro Paese che non sia l’Ucraina. Avendo difficoltà a comprendere i motivi di una tassonomia delle migrazioni che la recente guerra nell’Est Europa ha posto in funzione. 
 

Un articolo di

Gaia Bugamelli

Gaia Bugamelli

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