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L’importanza di non distogliere lo sguardo: l’Iraq a distanza di venti anni

29 marzo 2023

L’importanza di non distogliere lo sguardo: l’Iraq a distanza di venti anni

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Di Iraq non si parla, o – quantomeno - non se ne parla se non quando il Paese viene scosso da attacchi di inaudita violenza o non rischi di essere attraversato da ondate di brutalità capaci di propagarsi all’intera regione e, di conseguenza, di lambire i nostri confini. Anche in questi casi, però, le analisi tendono a proporre una lettura degli avvenimenti schiacciata su un tempo presente che tende a fagocitare passato e futuro. Quasi come se non ci si potesse aspettare altro da un territorio condannato all’instabilità da rivalità ataviche tanto profonde da risultare insanabili.

Eppure, per cercare di comprendere i delicati equilibri della Terra dei due fiumi, oggi è più che mai fondamentale guardare agli oltre centro anni di storia della sintesi statuale irachena e, al tempo stesso, volgere lo sguardo in avanti, verso orizzonti che possono solo essere immaginati.

Il passato, infatti, per quanto più o meno distante, pesa come un macigno. Pesano i decenni di dittatura che, dal 1958 – anno della caduta della monarchia hashemita – si sono protratti sino al marzo 2003, quando l’operazione Iraqi Freedom segnò l’inizio della fine di Saddam Hussein. Al potere dal 1979, questi è stato l’emblema di un regime del terrore capace di sopravvivere alla guerra con l’Iran di Khomeini (1980-1988), alla sconfitta subita durante l’occupazione del Kuwait (1990-1991), alle sollevazioni esplose nel sud e nel nord del Paese e al decennio di sanzioni internazionali che inflissero pene indicibili alla popolazione civile. Pesano, e forse in misura ancora maggiore, i terribili anni seguiti alla liberazione di Baghdad e i molteplici errori commessi da Washington e dai suoi partner internazionali nei primi anni di vita del “nuovo Iraq”.


L’infondatezza delle accuse mosse al regime di Saddam relativamente ai legami instaurati con al-Qa‘ida e al possesso di armi di distruzione di massa, la decisione di attaccare Baghdad senza l’avallo dell’Onu e di mobilitare forze largamente insufficienti rispetto agli obiettivi prefissati, la scelta di sciogliere le forze armate irachene senza disporre di organi di polizia in grado di controllare il territorio, le molte contraddizioni di un processo di de-baathificazione che avrebbe finito con l’alienare il sostegno di una parte importante della popolazione, lo scandalo seguito alla diffusione delle immagini delle torture condotte nel carcere di Abu Ghraib sono tutti fattori che, per quanto largamente dimenticati in Occidente, continuano a segnare in maniera indelebile la coscienza del popolo iracheno. Così come continuano a essere estremamente vivide le memorie connesse alla lotta di liberazione contro i militanti dello “Stato Islamico” e le umiliazioni subite da milioni di cittadini che hanno dovuto vivere sotto il giogo del “califfato” dopo essere stati abbandonati dalla comunità internazionale e traditi dalle loro stesse leadership. 

Ricordare il passato, però, non basta. Per comprendere l’Iraq e il posto che può occupare nel mondo bisogna saper guardare avanti e immaginare il futuro di un Paese giovane (oltre il 35% della popolazione ha meno di quindici anni) e in costante crescita, ricco di risorse e potenzialità che vanno ben oltre le enormi riserve di idrocarburi custodite nel suo sottosuolo (Baghdad è, oggi, il secondo produttore di greggio dell’Opec). Un’immagine, in questo senso, può contribuire più di ogni altra a esprimere le speranze di un intero popolo: l’istantanea che ritrae centinaia di migliaia di manifestanti scesi in piazza nel 2019 per chiedere la fine della corruzione, l’indizione di nuove e libere elezioni e la fine dell’ingerenza straniera (iraniana in primis). Una moltitudine di giovani e giovanissimi riunitisi in quella che è passata alla storia come la rivoluzione di ottobre che scandivano un unico slogan: nuridu watan - vogliamo una patria. 

Un articolo di

Andrea Plebani

Andrea Plebani

Ricercatore - Università Cattolica

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