Come si configura oggi la nuova sanità territoriale a livello nazionale e regionale in base alle novità del DM 77/2022 e in relazione alla recente vicenda pandemica e agli stimoli apportati dal Pnrr?
Siamo davanti a una realtà definita o ci si barcamena tra illusioni e tentennamenti? La giornata di studi svoltasi il 26 aprile presso la Cripta dell’Aula Magna, a cura della Facoltà di Giurisprudenza, del Dipartimento di Scienze giuridiche e del Laboratorio sulla sanità territoriale (LABOST), che ha concluso la seconda edizione del Corso di perfezionamento in “Organizzazione e gestione delle Case della comunità, nell’ambito del riordino territoriale” con la consegna dei diplomi agli allievi (alla presenza dei corsisti dello scorso anno quasi a dare continuità all’iniziativa), non è riuscita a fornire una risposta univoca, anzi ha evidenziato la complessità della questione.
Un nutrito gruppo di relatori appartenenti al mondo accademico, delle istituzioni (come Giovanni Leonardi segretario generale del Ministero della Salute), della sanità (come Silvio Garattini presidente dell’Istituto Mario Negri e Tiziana Frittelli presidente di FederSanità Anci), e del Terzo Settore, abilmente moderati dal professor Renato Balduzzi, direttore scientifico del Corso, hanno esposto progetti, illustrato situazioni, proposto considerazioni e suggerimenti circa la nuova sanità territoriale, la varietà delle situazioni regionali, la connessione tra le strutture, il senso della sanità partecipata, la logica della rete, la conoscenza del territorio, la responsabilità dei singoli e degli enti, l’integrazione comunitaria cuore della nuova sanità territoriale.
L’attualità del tema e la delicatezza di questa nuova organizzazione è stata evidenziata dal rettore Franco Anelli, il quale ha richiamato l’importanza di una risposta celere della sanità ai problemi attuali: la pandemia ha insegnato che gli errori nel campo della salute possono essere gravi e non si manifestano nell’immediato, causando un ritardo nelle risposte alle urgenze. «I grandi ospedali hanno delle peculiarità di intervento e, per farli funzionare bene, bisogna far funzionare bene anche le altre realtà sanitarie in modo tale che le strutture grandi, onerose e complesse possano focalizzarsi su quelle che sono le loro specificità per i problemi più gravi». In tal contesto il rettore ha sottolineato il valore costituzionale dell’organizzazione sanitaria «che funzioni e che funzioni nel tempo nell’ottica della sostenibilità. Oggi le risorse ci sono ma come facciamo ad essere sicuri le avremo per curare coloro che si ammaleranno domani?».
Così la sanità territoriale non sarà una illusione se sarà attenta «a promuovere percorsi e processi formativi in rapporto con università, centri di studi fondamenti che rappresentano energia e voglia di produrre il cambiamento, impegnati a sostenere la ricerca di base e applicata e a promuovere seminari e dibattiti di carattere internazionale», come ha auspicato il preside della Facoltà di Giurisprudenza Stefano Solimano. Anche il preside della Facoltà di Medicina e chirurgia Antonio Gasbarrini ha ribadito l’attenzione alle problematiche della sanità territoriale «che va sviluppata ed è importante in un territorio dove sono presenti patologie cliniche e croniche». Per questo «l’integrazione socio sanitaria va vissuta in prima persona, con attenzione a storie e volti delle persone, in un contesto di cittadinanza attiva, con nuovi paradigmi di sanità e salute, diritti alla persona», come ha affermato don Virginio Colmegna, presidente di “Prima la comunità”.
Alcuni punti interrogativi che il tema della sanità pone li ha indicati al termine il professor Balduzzi: «Il più grande è stabilire come evitare di assistere passivamente alla destrutturazione del servizio sanitario nazionale tra dichiarazioni enfatiche a tutela della sanità pubblica, cambiamenti gattopardeschi, rischi di dissipare risorse che non ritorneranno perché risorse una tantum, e un’autonomia regionale differenziata che è stravolgimento del bene comune».