È stata anche un’occasione per far conoscere la straordinaria peculiarità dell’Istituto Pavoni, una realtà bresciana, con una ricca storia di presenze e di esperienze di interventi su questa disabilità che vede coinvolta da quasi venticinque anni anche l’Università Cattolica sul tema della scuola.
Una collaborazione nata nel 2003-03 tra l’equipe di psicologi della Cattolica di Brescia, coordinati dal professor Giancarlo Tamanza e la Fondazione Pio Istituto Pavoni, che lavora in direzione dell’integrazione scolastica e sociale di bambini e ragazzi sordi, dall’asilo nido all’università, residenti su tutto il territorio provinciale.
«Tra gli elementi distintivi dell’intervento c’è l’adozione di una prospettiva multidisciplinare, basata su una lettura psico-sociale e relazionale della condizione, che supera la visione deficit oriented e quindi il correlato pregiudizio per cui l’handicap sia per forza sinonimo di un limitato potenziale intellettivo o di minori abilità comunicative» spiega Giancarlo Tamanza, responsabile scientifico del progetto.
«Altro fattore determinante è la progettazione operativa individualizzata, a partire dall’analisi dei differenti bisogni comunicativi tra sordi segnanti, sordi impiantati, protesizzati o con pluridisabilità ma considerando anche tutte le variabili evolutive, psico-emotive, relazionali e socio-culturali connesse ai processi d’integrazione scolastica. Per questo l’erogazione di ogni intervento avviene all’interno di un piano individualizzato» precisa Tamanza.
Peculiarità del progetto è infatti la presa in carico individuale di ogni minore, ciò anche in considerazione della differenziazione delle problematiche che contraddistinguono la popolazione dei bambini e dei ragazzi sordi in età scolastica che in questi anni si sono rivolti alla Fondazione, secondo una tendenza che ha visto progressivamente ampliarsi le forme “estreme” nel range della complessità clinica. Proprio quest’ultimo aspetto mostra i limiti di una progettazione standardizzata ed uniforme della presa in carico ed evidenzia invece l’utilità di una progettazione personalizzata e di una gestione flessibile dell’intervento, come è stato evidenziato dagli esperti che si sono alternati durante la mattinata.
Per farlo serve mettere in rete risorse personali, cliniche, pedagogiche, sociali e comunitarie, come istituzioni scolastiche e territoriali. Ma anche la famiglia è un interlocutore obbligato. L’incontro annuale è stata anche l’occasione per far conoscere un quadro aggiornato delle caratteristiche sociali ed epidemiologiche della popolazione sorda, l’evoluzione delle pratiche sanitarie/diagnostiche/riabilitative e di intervento socioeducativo ed i risultati ottenuti negli ultimi anni.
La finalità fondamentale ed orientativa dell’intero progetto è di promuovere il benessere dei ragazzi sordi e delle loro famiglie attraverso lo sviluppo di pratiche che facilitino l’empowerment e lo sviluppo delle risorse in campo. Lo sforzo è orientato in particolare ad attivare, in un’ottica di integrazione, risorse personali, sociali e comunitarie, soprattutto lungo due direttrici: da un lato l’integrazione tra i ragazzi sordi ed i coetanei udenti; dall’altro sostenere la cooperazione tra e con le istituzioni scolastiche, sociali e sanitarie coinvolte nel sostegno all’apprendimento, alla socializzazione e all’educazione.