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Family influencer: quando il genitore diventa datore di lavoro

06 novembre 2025

Family influencer: quando il genitore diventa datore di lavoro

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Regolamentare il coinvolgimento dei minori nell’attività social dei genitori family influencer. La presenza di minorenni all’interno dei contenuti social di influencer e creator, anche a fini pubblicitari, è oggi sempre più pervasiva. Diventa necessario interrogarsi sulle conseguenze che questa esposizione può avere sui più piccoli e sul grado di consapevolezza e consenso che bambini e bambine possono esercitare.

La riflessione nasce dalla ricerca “Protagonisti consapevoli? La tutela dei minorenni nell’era dei family influencer”, svolta da Terre des Hommes Italia insieme a Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) e ALMED - Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con il supporto dell’avvocata Marisa Marraffino, esperta di diritto dei media digitali e la partnership tecnica di Not Just Analytics.

Scarica il Booklet della ricerca

Lo studio è stato presentato, presso la sede di Milano dell’Università Cattolica mercoledì 5 novembre, nel corso di un evento - moderato dalla giornalista Rai Arianna Voto - in cui sono intervenute, tra le altre, Marina Terragni dell'Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, la content creator Olimpia Peroni e le professoresse dell’Ateneo Nicoletta Vittadini e Giovanna Mascheroni. Le conclusioni sono state affidate alla senatrice Simona Malpezzi.

Dalla ricerca quali-quantitativa, che analizza 20 profili di family influencer e 1334 contenuti social per capire come sono mostrati figlie e figlie, emerge che i/le minori appaiono in un contenuto organico su due e in uno sponsorizzato su quattro. In un terzo circa dei contenuti pubblicitari, i bambini e le bambine risultano essere parte attiva dell’advertising: ad esempio scartano il prodotto, lo presentano, lanciano la promozione. Nella maggior parte dei contenuti in cui appaiono minori, inoltre, non sono adottate forme di tutela della privacy per i più piccoli, ad esempio riprese di spalle, immagini pixelate o l’aggiunta di emoticon sul viso. Nei contenuti organici tali forme di tutela appaiono nel 7% dei contenuti; la percentuale si abbassa al 2% se si considerano i contenuti pubblicitari. Nel 29% dei contenuti si riscontrano situazioni potenzialmente problematiche rispetto alla privacy: nel 21% dei casi sono mostrati momenti intimi come il bagnetto, il cambio del pannolino, la nanna; nel 6% dei contenuti il minore è coinvolto in trend o challenge; nel’1% dei casi il minore è colto in un momento critico (rabbia, tristezza, difficoltà).

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Redazione

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Solo nello 0,65% dei contenuti il minore si oppone esplicitamente alla ripresa, ma nel 63% bambini e bambine si vedono sullo sfondo delle scene dei genitori, senza quindi probabilmente la piena consapevolezza di essere ripresi a loro volta. Il tema del consenso si pone, però, anche nel restante 36% di contenuti, in cui i bambini, sia per una questione di età, sia per l’esplicitazione del contesto, si rendono conto di essere registrati. Per i bambini è infatti impossibile sapere quali conseguenze porterà questa loro esposizione. Figli e figlie possono, inoltre, sentirsi in dovere di partecipare all’attività del genitore influencer, per non "fare un torto, perdere la sua fiducia".

Va, infine, sottolineato che i bambini più esposti risultano essere quelli con un’età compresa tra gli 0 e i 5 anni (sono quasi l’80%): un’età in cui non sono ancora in grado di esprimere il loro consenso e di comprendere l’uso che viene fatto della loro immagine.


Regolare il lavoro minorile nei social media

In linea con il Disegno di Legge attualmente all’esame del Senato, Terre des Hommes sottolinea l’importanza di equiparare il coinvolgimento dei minori nelle attività pubblicitarie e commerciali social dei genitori, alle altre forme di lavoro minorile ammesse dalla legislazione italiana. In questo modo anche bambini protagonisti di advertising online risulterebbero tutelati in relazione al tipo di impegno cui sono chiamati e alle conseguenze psicofisiche ed emotive cui possono essere esposti.

Per garantire la tutela del minorenne e prevenire i rischi per la sua salute psico-fisica, il contenuto dell’advertising dovrebbe essere previamente valutato e approvato dalla Direzione Provinciale del Lavoro, considerando il monte ore di lavoro, il ruolo rivestito dal minore e la tipologia di prodotto pubblicizzato.


I rischi dell’esposizione di minorenni online

Per Elisabetta Locatelli, ricercatrice e docente di Digital media in Cattolica, «i social media hanno creato opportunità lavorative prima inedite che consentono di trovare nuovi equilibri fra lavoro e vita privata, come è avvenuto nel caso dei family influencer e – più in generale – di influencer e creator. Questo però rischia di comportare, come emerso nei dati di ricerca, una sovraesposizione dell’infanzia e dell’adolescenza, di non definire in modo ottimale i confini fra vita personale e professionale o di non tutelare adeguatamente i diritti. È per questo necessario regolamentare e fare formazione così come continuare ad analizzare questi fenomeni. La creazione di sinergie fra soggetti diversi, come è accaduto in questa occasione, consente di analizzare il contesto da più punti di vista e di tradurre i dati di ricerca in proposte concrete».

«Quando un genitore trasforma il proprio figlio in parte di un’attività commerciale – spiega Federica Giannotta, Responsabile Advocacy e programmi Italia Terre des Hommes - assume di fatto un doppio ruolo: quello di datore di lavoro e di genitore, con il rischio di compromettere la relazione di fiducia e sicurezza su cui si fonda l’infanzia. Per un bambino, soprattutto nei primi anni di vita, la perdita di spazi protetti e la messa in scena di momenti intimi possono minare il senso di protezione e la capacità di distinguere la realtà dalla finzione. Senza contare che la presenza online li espone a potenziali rischi di adescamento e pedopornografia, rendendo facilmente reperibili elementi utili a identificare la loro dimora e le loro abitudini. È per questo che chiediamo una regolamentazione capace di tutelare il diritto dei più piccoli a crescere in un ambiente sicuro, autentico e libero da pressioni esterne».

«Il Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale IAP – aggiunge Vincenzo Guggino, Segretario generale IAP - abbraccia tutte le varie aree comunicazione commerciale, dedicando particolare attenzione alla tutela dei minori e ai diritti della persona. L’art.11 del Codice prevede che una cura particolare debba essere posta nei confronti dei messaggi che si rivolgono ai minori o che possano essere da loro ricevuti, assicurandosi che essi non contengano nulla che possa danneggiarli psichicamente, moralmente o fisicamente. Su questo fronte, lo IAP ha anche siglato un Protocollo di Intesa con l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza per una maggiore tutela dei minori. La tutela dei diritti della persona è invece presidiata dall’ art. 10 secondo cui la comunicazione commerciale non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose, deve rispettare la dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni e deve evitare ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere».

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