Del resto, «l’idea che muove questa iniziativa è che, immersi come siamo nel virtuale dei nostri schermi, abbiamo bisogno di riaffezionarci alla pratica consuetudinaria della lettura», ha spiegato il direttore dell’editrice Vita e Pensiero Aurelio Mottola introducendo il nuovo ciclo di incontri, che nella passata edizione ha avuto tra i suoi protagonisti Alessandro D’Avenia, Alberto Manguel, Paolo Alliata, Ilaria Gaspari, Nicola Lagioia, Joel Dicker e Maryanne Wolf. «La pratica della lettura fa risuonare nel lettore intuizioni, domande, aperture, pensieri, emozioni, dialoghi: tutti elementi che dilatano il suo mondo aiutandolo a essere empatico, ad ascoltare gli altri, a ospitare dentro di sé l’altro tassello», ha proseguito Mottola. «Per servire questa esperienza di interiorità aperta abbiamo messo in piedi questa “Scuola”, dove l’apprendimento avviene per contagio, grazie agli ospiti che di volta in volta parlano di un libro a loro caro, sottolineando le risonanze che la lettura di quel testo ha in loro suscitato».
Come ha fatto Gioele Dix nel primo appuntamento dal titolo “Passione per l’attesa” dove, indossando i panni del “maestro di lettura”, ha fornito al pubblico preziosi suggerimenti per accostarsi a Giorgio Manganelli («che certamente non ha ancora avuto il riconoscimento che si merita») e alla sua singolarissima “Centuria. Cento piccoli romanzi fiume” (edizioni Adelphi). «Ho scoperto questo libro appena uscito, aveva da poco partecipato al premio Viareggio, vincendolo. Nel 1979, quando lo comprai, avevo 23 anni, ero già un lettore di un certo spessore ma tuttavia desideroso di trovare nuovi stimoli, che Manganelli è stato in grado di fornirmi», ha raccontato Dix.
Autore ironico, sperimentatore e per molti versi maniacale (è rinomata la sua ossessione per la puntualità), Manganelli sapeva riversare in tanti scritti «la sua follia e il suo sguardo speciale sulle cose». “Centuria” ne è la conferma. Un’opera che, non avendo una trama, ha il vantaggio di «poter essere usufruita a pezzetti», proprio come i libri di poesia il cui pregio è di essere «a consumo». Una delle caratteristiche del libro - una raccolta di piccole storie, tutte di una pagina o di una pagina e mezzo, numerate e senza titoli - sta nel mettere in scena vicende di uomini o donne con vite curiose, surreali, casuali, paradossali. Storie che di per sé sembrano «invenzioni o trovate per stupire il lettore», ma che in realtà «hanno contenuti» che rimandano sempre a qualcos’altro e che, a saper leggere, ci riguardano. Un libro, dunque, che concilia due anime: da una parte, il gusto del racconto puro, fine a sé stesso; dall’altra, il racconto emblematico, metaforico.
Per questo, secondo Gioele Dix, lo stile di Manganelli è in un certo senso imparentato con quello di Raymond Carver. Uno scrittore, quest’ultimo, che prescinde dalla trama e delude quelli che vogliono sapere come va a finire. Carver, al contrario, testimonia che la vita altro non è se non un «flusso nel quale siamo coinvolti, pieno di sorprese, di arresti, di riprese, di stop and go».
Non diversamente, la «potenzialità», il «segreto» e la «magia» di “Centuria” sta in tutto quello che noi, con la nostra immaginazione, possiamo mettere sulla pagina. Una lettura la cui forza è data anche dalla «qualità della scrittura». Manganelli ha uno stile molto classico, ma con un uso immaginifico della lingua italiana che si esprime appieno nell’utilizzo dell’aggettivo. Basta leggere uno dei cento racconti, vero e proprio repertorio della bravura linguistica e della capacità di sintesi dello scrittore milanese. Come il “cinquantuno” che parla di un appartamento abitato da una persona che non esiste; il “sessanta” che descrive del signore meticoloso e un po’ astratto che un giorno riceve una lettera dall’ufficio delle esistenze, o il “cento”, una lucida critica del fenomeno tutto italiano di avere, appunto, più scrittori che lettori.
Un autore, dunque, Manganelli che si è sempre cibato della vita che lo circondava, come dimostrano i numerosi articoli pubblicati su Il Messaggero e il Corriere della Sera.
E oggi, ha chiesto qualcuno dal pubblico, quale sarebbe la principale fonte di ispirazione di Manganelli? «Sicuramente i social», ha risposto Gioele Dix. Manganelli non sarebbe rimasto «indifferente» al cambio rivoluzionario subito negli ultimi anni dalla comunicazione. Anche se poi le dinamiche che la piazza virtuale riproduce sono le medesime: la maldicenza, l’invidia, il desiderio di farsi conoscere.
PROSSIMO APPUNTAMENTO:
Giovedì 7 novembre con Giorgio Fontana e Franz Kafka
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