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Parità di genere, a che punto siamo dieci anni dopo la legge Golfo-Mosca

13 luglio 2021

Parità di genere, a che punto siamo dieci anni dopo la legge Golfo-Mosca

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La legge Golfo-Mosca, promulgata dieci anni fa, non ha inteso solo assicurare una quota minima di presenza femminile nella composizione degli organi nelle società quotate e nelle società pubbliche, ma ha voluto dare maggior evidenza alle capacità delle donne in campo economico e gestionale. Le donne infatti arrivano più preparate, sono più abili nelle relazioni di lavoro, curano gli interessi dei soci e sono insofferenti a decisioni conformiste. L’attenzione al significato del loro ruolo diventa attuale in questo tempo caratterizzato dal Covid con l’aumento di fenomeni che minano la crescita inclusiva, ostacolano la riduzione delle disuguaglianze e colpiscono le categorie più fragili: donne e giovani. Per questo si è svolta on line una giornata di dibattito e confronto per un bilancio dei risultati raggiunti nei primi dieci anni di applicazione della legge Golfo-Mosca, al quale ha portato il saluto iniziale anche Franco Anelli, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Il convegno, organizzato in collaborazione tra l’Università Cattolica, il Dipartimento di Scienze giuridiche, l’Ordine degli Avvocati di Milano, la Fondazione Centro Nazionale di prevenzione e difesa sociale, ha visto la presenza di numerosi docenti ed esponenti del mondo delle istituzioni, dell’economia e della società civile che hanno portato il loro contributo scientifico ed esperienziale, perché, come ha affermato Antonio Albanese, Direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Ateneo, «un sapere autenticamente scientifico non può restare chiuso all’interno di un circolo autoreferenziale, ma deve mettersi in discussione, aprendosi al confronto con altre idee e sensibilità».

Tra i promotori del convegno, Gaetano Presti, docente di Diritto commerciale in Cattolica, che ha parlato delle quote di genere tra pari opportunità ed efficienza. Confrontando i dati 2011 e 2020 nei consigli d’amministrazioni delle quotate si nota che tanta strada è stata fatta passando dal 7,4% al 38,8%. «Ma basta guardarsi attorno per vedere che stiamo parlando di un’isola felice, che la legge somiglia alla rondine che non fa primavera. Le donne, in Italia più che altrove (e per una volta senza sostanziali differenze tra Nord e Sud), hanno un tasso di disoccupazione maggiore e il gap con i maschi è peggiorato con la pandemia; hanno stipendi minori; hanno più difficoltà di carriera: al 57,5 delle impiegate corrisponde il 31,9 delle dirigenti. Le donne si laureano prima, con un voto migliore; ma aspettano di più per il primo lavoro, progrediscono più lentamente in carriera e hanno uno stipendio più basso. In fondo, però, tra luci e ombre, credo che il bilancio della legge debba reputarsi positivo. L’essenziale è stato smuovere una situazione stagnante e far sì che vicino ai posti apicali potesse crescere un universo di donne, pronte in un prossimo futuro a sfondare il tetto di cristallo. Per tornare all'immagine di prima, una rondine non fa primavera, ma di solito la preannunzia».

Antonella Sciarrone Alibrandi, pro rettore vicario dell’Università Cattolica e docente di Diritto dell’economia, è intervenuta sul tema dell’Università nella formazione della classe dirigente di domani: «Il ruolo dell’Università va oltre le quote perché si colloca come luogo per lo studio di tali tematiche, dove si sperimentano soluzioni più innovative che varranno anche per altre realtà. Esistono stereotipi e pregiudizi per superare i quali l’Università ha un ruolo importante nel suo essere presidio di promozione di cultura in un contesto sociale che sta soffrendo di ‘deculturalizzazione’. Peraltro l’Università deve essere attenta a non penalizzare le donne nelle carriere universitarie a causa della loro attività di cura, anche in questo periodo di Covid».

Di particolare interesse per un bilancio di questi dieci anni di operatività della legge è stato l’intervento di Alessia Mosca, già parlamentare italiana e promotrice della legge in esame, che ha individuato ostacoli e positività: «La legge ha prodotto un cambiamento consistente non solo in Italia ma a livello internazionale. Ciò nonostante non c’è stato l’effetto-cascata previsto, a tal punto da dover rinnovare la durata dell’applicazione della legge a causa delle resistenze incontrate».

Al tema della leadership delle donne si unisce quello più drammatico dell’occupazione femminile. È auspicabile che in futuro non si debba celebrare il compleanno della legge Golfo-Mosca ma il fatto che sia decaduta perché son venuti meno i presupposti che l’avevamo resa necessaria, altrimenti si corre il rischio di dover “quotizzare” ogni differenza dall’età alle comunità sottorappresentate.
 
La prospettiva è quella che la nomina delle donne nei consigli di amministrazione non costituirà adempimento formalistico dell’obbligo legale, limitatamente a posizioni spesso di scarsa ininfluenza nei processi decisionali, ma dovrà presupporre una attenta valutazione della professionalità delle candidate, che ne premierà la qualità e non la mera appartenenza al “genere svantaggiato”. In fondo si tratta di cambiare l’approccio della nostra società rispetto ai ruoli di responsabilità di cura, con interventi normativi e di sostegno economico distribuiti in modo paritario con particolare riguardo “all’altra metà dell’umanità”.

 

Un articolo di

Agostino Picicco

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