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Rosario Livatino e le virtù del buon giudice

28 maggio 2021

Rosario Livatino e le virtù del buon giudice

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Il giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990, e beatificato ad Agrigento il 9 maggio scorso, rappresenta un modello non solo per gli attuali magistrati, colpiti in questo periodo da vari scandali che ne stanno minando la credibilità, ma anche per gli studenti di Giurisprudenza che si confrontano quotidianamente con lo studio del diritto e che in futuro progettano di entrare nei ruoli della magistratura.
 
È stato questo l’intento dell’incontro su Rosario Livatino organizzato dall’Associazione Vittorio Bachelet e dal Collegio Augustinianum il 26 maggio per ricordare il nuovo beato alla luce del libro Rosario Livatino. Il giudice giusto di Toni Mira, presentato durante la manifestazione.

Il parterre dei relatori, composto da docenti e magistrati, ha portato un pensiero e una testimonianza su questo uomo delle istituzioni e operatore del diritto giunto agli onori degli altari per la vita retta, per la testimonianza cristiana nella professione, per aver pagato con la vita l’alto senso della Giustizia.

Il suo tratto umano era caratterizzato da discrezione, umiltà e mitezza. Lo ha detto bene il rettore della Cattolica Franco Anelli introducendo l’incontro. «Livatino non è l’eroe rinascimentale che a petto in fuori pronuncia una frase memorabile prima di essere ucciso, ma è un martire umile con un profondo senso del dovere civile e religioso». In lui il valore civile è vivificato in prospettiva più alta e, ha aggiunto il rettore, «la sua funzione è svolta in umiltà, consapevole del proprio ruolo attraverso l’adempimento scrupoloso e silenzioso del proprio lavoro, accompagnato dal gradissimo coraggio profuso in modo silente e tormentato dal timore di porre di fronte al pericolo la vita dei genitori o dell’eventuale scorta. Testimone silenzioso e discreto della giustizia e della sua finitezza, tendeva non alla perfezione, che non esiste, ma al meglio. Livatino è caduto ma non è stato sconfitto».

È stato il professor Renato Balduzzi, docente di Diritto costituzionale nell'Università Cattolica e presidente dell'Associazione Vittorio Bachelet per la promozione del dibattito sui temi della giustizia - intitolata a un altro giurista vittima del terrorismo - a spiegare le motivazioni della presentazione del libro di Toni Mira su Livatino in Università e soprattutto con la partecipazione degli studenti. «Proporre una riflessione su Rosario Livatino, vuole sottolineare il legame tra la vita personale, la riflessione culturale e l'esercizio dell'attività professionale. Livatino, il beato Rosario, si presta in misura mirabile ad essere testimonial di questo legame. Oggi, la fiducia nella magistratura sembra crollata, anche per colpa di qualche magistrato o piccoli gruppi di magistrati che si sono rivelati incapaci di stare a sufficiente distanza dal sottobosco della cattiva politica e della cattiva imprenditoria, ma soprattutto per colpa di un dibattito mediatico che sembra volere rimuovere l’impegno, immutato, della magistratura nei confronti delle mafie e della corruzione, fenomeni tuttora presenti e pericolosi».

A seguire, introdotti dal professor Balduzzi, sono intervenuti: Giovanni Canzio, primo presidente emerito della Corte di Cassazione, Margherita Cassano, presidente aggiunto della Corte di Cassazione, Nicolò Lipari, emerito di Diritto civile presso l’Università di Roma La Sapienza, Anna Canepa, sostituto procuratore presso la Direzione Distrettuale Antimafia del Tribunale di Roma, lo studente Leonardo Dolce, Gianluca Grasso, componente del Comitato Direttivo della Scuola Superiore della Magistratura, Piergiorgio Morosini, giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo, Andrea Patanè, direttore Collegio Augustinianum, Fulvio Troncone, componente comitato di presidenza dell'Associazione Vittorio Bachelet, Toni Mira, giornalista del quotidiano Avvenire e autore del volume su Livatino, Giovanni Mammone, primo presidente emerito della Corte di Cassazione e segretario dell’Associazione Vittorio Bachelet.

È toccato a loro ricordare la biografia del giovane Livatino, laureatosi brillantemente con una tesi in Diritto penale, entrato giovanissimo nei ruoli della magistratura, cittadino esemplare e cristiano fervente che si recava in chiesa tutte le mattine prima del lavoro, dedito con passione alla sua professione svolta in modo coscienzioso, scrivendo a mano i suoi atti giuridici con grande rigore logico. La coerenza della sua vita, è stato detto, è il principio della sapienza, invisibile agli occhi ma trasparente alla mente e al cuore.

Livatino era il magistrato che si avvicinava al caso concreto con la giusta attenzione, animato dalla ricerca della verità oltre ogni dubbio e consapevole della fallacia umana, tanto da recarsi personalmente in carcere il giorno di Ferragosto per consegnare un ordine di scarcerazione e non prolungare ad un detenuto la privazione ingiusta della libertà personale.

Riferita a lui non è adeguata l’espressione di “giudice ragazzino”, indice di poca esperienza professionale, perché Livatino aveva dimostrato l’importanza del lavoro di squadra, di poter svolgere indagini patrimoniali non scontate, di aggredire interessi di particolare rilievo.

La modernità di Livatino, attento a quello che succedeva nel suo territorio e pioniere della sensibilità alle tematiche ambientali (come si evince nel libro di Mira), emerge anche nell’attuale stagione in cui la superficialità di alcuni magistrati ha impattato sul ruolo istituzionale. Alcuni hanno dimostrato di avere più a cuore la carriera che il decoro, rispondono al potere più che alla legge, nutrono simpatie e antipatie, che compromettono la loro credibilità e creano distanza tra i cittadini.

In questa prospettiva risulta di grande attualità la considerazione (e l’invito) di Livatino per cui riformare la giustizia non è compito di pochi magistrati ma di tanti protagonisti: «Dello Stato, dei soggetti collettivi, della stessa opinione pubblica, poiché recuperare il diritto come riferimento unitario della convivenza collettiva non può essere, in una democrazia moderna, compito di una minoranza».

Un messaggio a un impegno corale e solidale, sull’esempio di Rosario Livatino, a vincere la battaglia contro la criminalità organizzata e le varie forme di corruzioni che è significativamente partito dal mondo dell’Università dedito alla formazione dei cittadini di un mondo migliore.

 

Un articolo di

Agostino Picicco

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