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Sanità digitale, molto più di un click

24 novembre 2023

Sanità digitale, molto più di un click

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Sembrano passati anni luce da quando il medico della mutua andava casa per casa per visitare pazienti e prescrivere farmaci. La medicina, come tanti altri settori, non è rimasta immune agli effetti della rivoluzione tecnologica. Sono innumerevoli i servizi sanitari disponibili online. Basti pensare alle app per il monitoraggio di specifiche condizioni di malati cronici o ai portali per prenotare visite mediche ed esami. Resta, però, una questione di fondo: se, da un lato, la digitalizzazione può rappresentare un vantaggio per alcune fasce della popolazione, dall’altro, aumenta il rischio di creare divari maggiori tra chi è in grado di ricorrere agli strumenti tecnologici e chi non lo è. Alcuni numeri aiutano a capire. Secondo la Commissione Europea in Italia è ancora bassa la percentuale di persone che ricorrono al Fascicolo sanitario elettronico: nel 2022 lo ha utilizzato il 57% dei pazienti e il 35% dei cittadini, mentre solo il 40% dei medici ha usato servizi di telemedicina. In altre parole, avere accesso a nuove tecnologie non è sufficiente: occorre possedere le giuste competenze per saperle utilizzare. È qui che entra in gioco la Digital Health Literacy, ovvero l’alfabetizzazione digitale sanitaria utile per mettere cittadini e pazienti nelle condizioni di partecipare alle trasformazioni digitali che stanno rivoluzionando la sanità. Un tema che sta a cuore ad ALMED e ALTEMS, le Alte Scuole in Media, Comunicazione e Spettacolo  e in Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che, con il contributo incondizionato di Farmindustria, hanno deciso di avviare un ciclo di tre incontri per sensibilizzare sul ruolo centrale che comunicazione e media hanno nell’ambito della cura e della salute.

«La nostra sfida è trovare soluzioni non solo tecniche ma anche etiche che hanno come priorità il bene della persona», dice Mariagrazia Fanchi, direttore dell’Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo durante il primo appuntamento del ciclo che ha preso il via giovedì 16 novembre, introdotto da Andrea Canova, preside della Facoltà di Lettere e filosofia, e moderato da Elisabetta Locatelli, coordinatrice del progetto Health Communication Monitor lanciato proprio dalle due Alte Scuole. Tre gli input alla base di questo progetto: innanzitutto, la pandemia ha reso evidente in maniera irrefutabile che i media sono mezzi importanti per la tutela della salute; in secondo luogo, stanno diventando sempre più strumenti di cura e in quanto tali possono essere inseriti nei protocolli sanitari; l’ultimo aspetto riguarda la partecipazione del paziente, il patient engagement. Insomma, «processi complessi che, se vanno fuori controllo, possono creare effetti esiziali. Infatti, non vanno dimenticate le problematiche legate alle fake news e al ruolo centrale che possono svolgere istituzioni e medici. Questi ultimi, in particolare, non devono considerare l’utilizzo degli strumenti digitali un onere aggiuntivo», aggiunge Fanchi.

C’è quindi alla base un tema di competenze da non sottovalutare. A ribadirlo è Jacopo Murzi, componente di Giunta Farmindustria. «Stiamo vivendo una rivoluzione tecnologica incredibile che avrà un grande impatto sulla salute dei cittadini. Questo richiede, da una parte, il rapido sviluppo di competenze tecniche, informatiche, digitali e tecnologiche, con una formazione specifica degli attori della salute e delle nuove generazioni. Dall’altra, la necessità di rafforzare il ruolo del medico, che deve rimanere una figura centrale, per aiutare i pazienti - sempre più informati e preparati - nel percorso terapeutico e nel riconoscere le fake news». La percentuale di laureati italiani nel settore Informatica e Telecomunicazioni (ICT) resta la più bassa d’Europa: l’1,4% contro il 4,2% della media europea. Di qui la necessità di un dialogo costante tra istituzioni, aziende, università e centri di ricerca per lo sviluppo di nuove competenze e nuovi profili proprio per stare al passo con l’innovazione tech.

Del resto, conti alla mano, sostituire l’assistenza in presenza con quella in remoto conviene. È quanto emerso da uno studio condotto da ALTEMS, presentato dalla direttrice delle attività accademiche e di ricerca dell’Alta Scuola Federica Morandi. Su 2.229 prestazioni erogate online è stato quantificato un risparmio di oltre 148mila euro, di 194.930 km, di 2.788 ore di spostamenti, di 1.672 ore di attesa e di 18,5 tonnellate di CO2 risparmiate.

In Italia se c’è una Regione all’avanguardia e che sta investendo molto in progetti di digitalizzazione è la Lombardia. Come racconta il direttore generale al Welfare Giovanni Pavesi, elencando i quattro obiettivi sui cui nei mesi a venire sarà impegnato il servizio sanitario lombardo. «Il primo, approvato lo scorso anno e in procinto di entrare in vigore, è un sistema per la gestione digitale del territorio; il secondo, riguarda una gara fatta per portare a una gestione organizzata dell’offerta ambulatoriale da un unico punto di accesso; il terzo è una implementazione del Fascicolo sanitario elettronico, il quarto e ultimo, e che rappresenta una punta di orgoglio, è l’attribuzione alla Regione Lombardia di predisporre la gara per la piattaforma nazionale di telemedicina».

Ma quali competenze sono richieste al cittadino? È quello che ha indagato l’Università Cattolica nell’ambito di un progetto dedicato al tema dell’Active Ageing, finanziato dalla Fondazione Cariplo. La ricerca qualitativa longitudinale, condotta su un panel di 40 over 65 residenti nel Lodigiano, prima zona rossa d’Italia colpita dalla pandemia e dalle restrizioni, mette in evidenza i vantaggi e gli svantaggi che per un segmento particolarmente fragile come quello degli anziani possono derivare dalla digitalizzazione dei servizi sanitari. Infatti, «se, da una parte, è riconosciuta una rapidità nella fruizione dei servizi, una disponibilità di tutte le informazioni personali, una semplificazione della vita quotidiana, dall’altra, non mancano nuovi rischi legati alle fake news e al phishing, alle repentine trasformazioni degli strumenti e delle piattaforme, alla perdita del contatto umano con alcuni operatori», osserva Simone Carlo, ricercatore della Facoltà di Scienze politiche e sociali, che sta conducendo lo studio con un gruppo interdisciplinare di studiosi dell’Ateneo.

A tutto questo si aggiunge una sovrabbondanza informativa sui temi relativi alla salute che va gestita. Di questo si occupa l’osservatorio Opinion Leader 4 Future, progetto sull’informazione consapevole nato dalla collaborazione tra Gruppo Credem e ALMED. «Dalle nostre indagini risulta che la salute costituisce un tema rilevante per la popolazione italiana, posizionandosi al quarto posto, prima della politica», sostiene Sara Sampietro, coordinatrice dell’osservatorio. È interessante notare come il 69% vede nella televisione il canale adatto per la comunicazione di questi temi, con valori maggiori al 70% fra gli over 45, seguita dai social network (39%), la cui scelta è inversamente proporzionale all’età, da un picco del 51% fra i 18-44 anni al 21% fra gli over 64. In particolare, le informazioni richieste richiamano le caratteristiche tipiche del buon medico di famiglia. Ciò che si privilegia nella ricerca di informazioni è un linguaggio inclusivo, comprensibile a tutti, un servizio di brokeraggio, ossia di recupero delle indicazioni utili per sapere come curarsi, e infine una funzione di “capacitazione”, in cui il cittadino si senta protagonista e partecipe.

Un aspetto, quello della partecipazione dei pazienti, su cui da anni è impegnata l’organizzazione Cittadinanzattiva. «Lavorare all’empowerment digitale dei cittadini e delle comunità vuol dire capacitarli, renderli cioè non solo destinatari ma offrire loro degli spazi di partecipazione e coprogettazione in cui possono essere mittenti di informazioni», chiosa Anna Lisa Mandorino, segreteria generale di Cittadinanzattiva. «Ci auspicheremmo, quindi, che ancora il medico di assistenza primaria, come viene ora chiamato il medico della mutua, passi a visitare a domicilio i pazienti che ne hanno bisogno, ma che possa anche saper integrare – e insieme con lui i cittadini – nella presenza e nel contatto fisico anche le tecnologie digitali, con il comune obiettivo di migliorare i percorsi di cura e prevenzione», conclude Elisabetta Locatelli.

Un articolo di

Katia Biondi

Katia Biondi

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