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Giustizia riparativa, la lezione del premio Balzan John Braithwaite
Il professore, emerito all’Australian National University, è considerato uno dei “padri” della disciplina
| Katia Biondi
04 novembre 2024
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«Secondo l’Advisor Board sull’Intelligenza Artificiale, un organismo che fa capo alle Nazioni Unite, dei 193 Stati membri dell’Onu solo sette paesi hanno sottoscritto tutte le sette principali dichiarazioni di principi presenti in ambito di intelligenza artificiale. Ben 118, quindi una quota considerevole di Stati, sono totalmente assenti. Ciò significa che la maggior parte della popolazione del mondo ne subirà le conseguenze senza poter interferire». Parte da un «fatto» concreto Gabriele Della Morte, ordinario di Diritto internazionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, per inquadrare la cornice di una situazione complessa con cui tutti ci troviamo a fare i conti: la diffusione dell’intelligenza artificiale, le ricadute del suo utilizzo e la necessità di una governance dell’algoritmo. Tre aspetti che rappresentano alcune delle principali linee di ricerca indagate nel progetto di Ateneo “Funzioni pubbliche, controllo privato. Profili interdisciplinari sulla governance senza governo della società algoritmica”, avviato tre anni fa proprio sotto la guida del professor Della Morte, coinvolgendo diverse Facoltà e Dipartimenti dell’Università Cattolica e numerosi specialisti provenienti dal mondo del diritto, della sanità, della sociologia, dell’informazione. Gli esiti del lavoro scientifico sono stati discussi nel convegno “L’intelligenza artificiale tra fatto e norma”, che nelle giornate di lunedì 28 e martedì 29 ottobre ha messo a confronto in un dialogo interdisciplinare attori e regolatori dell’innovazione e dell’IA su alcuni specifici settori esplorati dalla ricerca: disinformazione, tutela della salute, immortalità dei dati, armi autonome, e riconoscimento facciale e biometrico.
Un articolo di
Un tema, quello dell’intelligenza artificiale, «affascinante» e «tremendo», come l’ha definito il Santo Padre. Usa le stesse parole anche monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale, aprendo i lavori della due giorni di studio, promossa dalla Facoltà di Giurisprudenza in collaborazione con il laboratorio Humane Technology Lab, e che ha raccolto le adesioni di circa 500 studenti provenienti da 10 Facoltà dell’Università Cattolica. «Una presenza massiccia che suggerisce la necessità di istituzionalizzare queste tematiche in un corso all’interno della Facoltà per approfondirne rischi e opportunità», dichiara il preside di Giurisprudenza Stefano Solimano. E da questo punto di vista, fa eco monsignor Giuliodori il diritto, perciò, serve affinché «l’intelligenza artificiale non perda la sua realtà di strumento a disposizione dell’uomo».
La risposta giuridica non è però sempre rapida e in grado di trovare soluzioni. «Il giurista, che è profondamente analogico, ha bisogno di categorie spaziali e temporali», afferma il professor Della Morte. «Se questi due assi vengono snaturati nel passaggio verso la rappresentazione digitale del mondo, il giurista tradizionale si trova in una situazione che gli inglesi definiscono «unknown unknowns» per la quale non soltanto non si è a conoscenza, ma non si è nemmeno a conoscenza di quello di cui non si è a conoscenza. La conseguenza è un’attitudine di chiusura che rende invisibili proprio le categorie inedite». Accade di frequente di fronte alle innovazioni tecnologiche. «Quando furono inventate le prime automobili i commentatori le definirono: “carrozze senza cavalli”».
A cambiare le regole del gioco è stato quell’ottobre del 1969 quando l’Università di Los Angeles e quella di Stanford riescono a comunicare tra loro scambiandosi informazioni “virtualmente”. Da allora tutto è diventato obsolescenza, inclusa la prima legge della geografia di Tobler secondo cui le cose più vicine sono le più connesse. «Da quando internet ha raggiunto il grande pubblico, stiamo assistendo a grandi ondate tecnico-scientifiche e mediatiche», racconta Juan Carlos De Martin, ordinario di Ingegneria informatica al Politecnico di Torino, Keynote Speaker della prima parte della giornata con Oreste Pollicino, ordinario di Diritto costituzionale all’Università Bocconi. «Basta ricordare alcune delle ondate precedenti che, quando sono arrivate, hanno saturato pagine di giornali e dibattito pubblico: cloud computing, mooc, big data, blockchain, 5g, metaverso». Insomma, «tutte espressioni accattivanti che hanno in comune tre caratteristiche: la novità tecnica importante, accompagnata da un gigantesco strato di marketing, la forte componente speculativa e infine la tendenza a concentrare l’attenzione su un determinato faro di luce, che inevitabilmente finisce per creare zone d’ombre di cui non si discute». L’intelligenza artificiale non fa eccezione: la sua storia è lunga e attraversata da diverse stagioni. Ma è solo negli ultimi anni che se ne parla con maggiore frequenza poiché nel 2010 avvengono tre fatti nuovi: il miglioramento degli algoritmi, l’ampia diffusione del web, la maggiore disponibilità di dati. «Queste novità producono risultati notevoli, determinando un salto di qualità. Un’ondata tecnica spinta, poi, dall’enorme quantità di capitali investiti e dalla volontà di arrivare primi», rileva De Martin. Di qui il compito delle università: «Restare sobrie e problematizzare ciò che viene dato per scontato. L’intelligenza artificiale è una grande potenzialità che in alcuni ambiti, come la medicina, può aprire a molte opportunità. Ma ci sono anche rischi consistenti che vanno discussi, non lasciati in penombra o spazzati sotto il tappeto».
Dal fatto alla norma. Quale tipo di certezza giuridica cerchiamo quando regoliamo il futuro? A fornire alcune coordinate di metodo è il costituzionalista Oreste Pollicino. «Quando si parla di categorie giuridiche dobbiamo riuscire ad avere cornici unitarie. Questo però non vuole dire essere conservativi e chiusi al nuovo. Significa semplicemente utilizzare con proprietà, ma anche con interpretazione evolutiva, quello che c’è già». Basti pensare al quarto emendamento della Costituzione americana che, quando entrò in vigore nel 1791, non contemplava la protezione dei dati. Eppure, la capacità interpretativa della Corte suprema americana ha fatto sì che tale disposizione divenisse un punto di riferimento in questo ambito. In altri termini, «bisogna riscoprire l’utilità di categorie preesistenti per riuscire a essere efficaci di fronte alle sfide tecnologiche». Inoltre, la teoria della regolamentazione deve superare il vecchio schema dell’hard law verso il soft law e fare invece riferimento a meccanismi di co-regolamentazione in cui i codici di condotta, e quindi le buone pratiche, possano diventare una fonte rilevante. L’AI Act è già un buon punto di partenza. Ma il professor Pollicino intravede per il futuro due grandi rischi: da una parte, l’amplificazione della frammentazione giuridica, dall’altra, una potenza normativa europea messa definitivamente all’angolo.
I lavori del 28 ottobre si sono conclusi con una sessione speciale dedicata a “intelligenza artificiale e creatività”, dove è intervenuto il violinista virtuoso e direttore della Fondazione Casa Stradivari di Cremona Fabrizio Von Arx. Il Maestro, dialogando con Enrico Reggiani, ordinario di Letteratura Inglese e direttore dello Studium Musicale, in una lezione/concerto, insieme con il suo Stradivari (“The Angel”, ex Madrilieno-1720) ha illustrato al pubblico, intervenuto numeroso, «quello che l’intelligenza artificiale non può fare».