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Usa, l’opinione pubblica mai così divisa

07 gennaio 2021

Usa, l’opinione pubblica mai così divisa

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L’assedio e l’occupazione di Capitol Hill da parte dei dimostranti pro-Trump, giunti a Washington in occasione della ratifica da parte del Congresso del successo elettorale di Joe Biden, sono l’esito estremo della campagna di delegittimazione degli esiti del voto che il Presidente uscente ha portato avanti ancora prima che le elezioni dello scorso novembre avessero luogo.

Più in generale, esse sono il prodotto della polarizzazione che ormai da diversi anni accompagna la vita politica statunitense e che, nei quattro anni dell’amministrazione Trump, è aumentata in maniera significativa. La frattura che attraversa gli Stati Uniti intorno al valore del voto del 3 novembre (che oltre il 70% degli elettori repubblicani ritiene non sia stato ‘free and fair’) è solo la punta dell’iceberg. Mai come in questi anni i sondaggi hanno messo in evidenza come l’opinione pubblica statunitense appaia divisa secondo linee di partito su tutti i principali punti in agenda. Parallelamente, mai come in questi anni si è assistito - su entrambi i fronti del ‘divi-de’ fra democratici e repubblicani - all’uso del discredito gettato sull’avversario come strumento ‘legittimo’ di confronto politico.

Anche di fronte all’esperienza traumatica delle scorse ore, la ‘macchina istituzionale’ della democrazia americana ha dimostrato la sua resilienza ed è significativo che questo punto sia stato sottolineato, fra gli altri, proprio dai due principali esponenti repubblicani a Senato, il Vicepresidente Mike Pence e il capogruppo Mitch McConnell.

Rimangono, tuttavia, dubbi su quali potranno essere le cicatrici della ferita che questa esperienza ha aperto e le sue conseguenze di lungo periodo. Nell’invitare i suoi sostenitori a ‘tornare a casa in pace’, Donald Trump ha ribadito ancora una volta l’opinione che il voto di novembre sia stato falsato; un’affermazione che non può non gettare un’ombra sull’amministrazione entrante agli occhi di una parte importante dell’opinione pubblica.

Sul versante opposto, la richiesta che ha iniziato a circolare per una rimozione del Presidente dalla carica prima dello spirare naturale del suo mandato (richiesta che è stata appoggiata anche da alcuni esponenti repubblicani) rischia di esacerbare ulteriormente gli animi dei suoi supporters e di approfondire le divisioni che esistono all’interno dei due partiti maggiori.

Su questo sfondo è difficile capire come l’amministrazione Biden potrà effettivamente ricucire il tessuto politico del Paese. L’ex vicepresidente ha solide credenziali di moderato e una lunga esperienza di navigazione nelle acque - spesso turbolente - della politica di Washington. Tuttavia, la capacità di portare effettivamente avanti un’agenda moderata dipenderà in primo luogo dagli equilibri che si instaureranno in un Congresso in cui le componenti ‘radicali’ sono forti in entrambi gli schieramenti e dal modo in cui lui stesso saprà relazionarsi con un elettorato che - pur avendolo votato in massa - tende a considerarlo come ‘il male minore’ rispetto a una seconda amministrazione Trump. È possibile che l’esperienza delle scorse ore e il suo potenziale distruttivo per il sistema politico nel suo complesso inducano una maggiore moderazione in quanti, in passato, hanno contribuito ad alimentare l’attuale polarizzazione. Allo stesso modo, è possibile che la presa di distanza dal Presidente di vari esponenti repubblicani alimenti, all’interno del partito, quel processo di ripensamento delle sue coordinate politiche che, sinora, sembra essere mancato. 

Non bisogna, però, dimenticare come, indipendentemente da quelli che saranno gli sviluppi su questi fronti, il ‘trumpismo’ non sia destinato a scomparire dal panorama statunitense né dopo il 20 gennaio né, con ogni probabilità, dopo un’eventuale uscita di scena dello stesso Trump. Negli ultimi anni, il Presidente ha dato voce - nel bene e nel male - a una fetta importante di opinione pubblica che non solo non si sente rappresentata dal mondo politico ‘tradizionale’ ma che, più a fondo, verso questo mondo e i suoi ‘riti’, nutre una sostanziale sfiducia.

Si tratta di un atteggiamento che predata l’emergere di Trump come fenomeno politico ma al quale proprio Trump ha saputo dare la forza e la visibilità che prima gli erano mancate. Gestire questa sacca di scontento è, forse, la sfida maggiore che l’amministrazione Biden dovrà affrontare, tenuto conto anche delle dimensioni che essa sembra avere raggiunto, sia in termini quantitativi, sia di portata della sfida che è capace di portare al ‘sistema’. I prossimi quattro anni non saranno, quindi, facili per né il nuovo Presidente né per un Paese la cui ‘traversata del deserto’ sembra essere appena cominciata.
 

Un articolo di

Gianluca Pastori

Gianluca Pastori

docente di Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa, facoltà di Scienze politiche e sociali

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