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Caregiver familiari e demenze, verso un modello partecipativo della cura

17 dicembre 2025

Caregiver familiari e demenze, verso un modello partecipativo della cura

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I caregiver familiari rappresentano oggi un pilastro essenziale nella gestione della demenza. I loro racconti mostrano una fatica emotiva, isolamento e difficoltà di orientamento nei servizi, ma anche buona capacità di adattamento, resilienza e produzione di un sapere esperienziale prezioso.

Il tema è al centro del progetto di ricerca PRIN 2022 “Family Caregivers and Alzheimer: Promoting Engagement and Community Care in the Post-Pandemic Society”, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerca (Next Generation EU). Se ne è parlato martedì 16 dicembre nel campus milanese dell’Università Cattolica durante il convegno “Caregiver familiari e demenze: verso un modello partecipativo della cura”, dedicato alla presentazione dei risultati.

Il progetto, coordinato dalla capofila Università di Bologna (professor Antonio Maturo) e realizzato in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sotto la mia responsabilità) e l’Università di Torino (responsabile di unità la professoressa Nicoletta Bosco), ha indagato in profondità il tema dell’engagement dei caregiver nei contesti di cura delle demenze, con particolare attenzione all’Alzheimer, analizzando i fattori che ne favoriscono o ne ostacolano lo sviluppo.

L’obiettivo della ricerca è stato duplice: da un lato, ricostruire empiricamente le configurazioni del caregiving familiare alla luce dei processi di trasformazione sociale e sanitaria in atto; dall’altro, elaborare raccomandazioni operative orientate alla promozione di modelli di community care più equi e sostenibili, fondati sul riconoscimento del caregiver familiare come soggetto competente e parte attiva dei percorsi di cura.

I risultati mostrano come i caregiver familiari siano oggi fondamentali nella gestione della demenza. L’assunzione del ruolo di cura appare spesso graduale, non pianificata e fortemente influenzata da norme implicite, culturali e di genere, che orientano sia la divisione dei compiti sia le modalità di definizione di sé dei caregiver. Accanto al persistere di marcate asimmetrie di genere, emergono tuttavia traiettorie di cura differenziate e dinamiche identitarie non univoche, che mettono in discussione modelli normativi semplificati e sollecitano un ripensamento delle politiche di riconoscimento e sostegno al caregiving familiare.

Le evidenze empiriche mettono inoltre in luce come le difficoltà con cui i caregiver si confrontano – dal sovraccarico emotivo e fisico alla frammentazione dei servizi, dalla solitudine allo stigma sociale – richiedano un cambiamento di paradigma nei modelli di cura. Lo studio conferma infatti che l’engagement dei caregiver non può essere inteso come una responsabilità individuale, ma come il risultato di un processo relazionale e sistemico, decisivo per garantire percorsi assistenziali efficaci, sostenibili e personalizzati.

Le 44 interviste biografiche restituiscono esperienze segnate da fatica emotiva, isolamento e difficoltà di orientamento nei servizi, ma anche da capacità di adattamento, resilienza e produzione di un sapere esperienziale prezioso, accompagnato da una forte domanda di riconoscimento e di informazioni chiare. Parallelamente, dagli 8 focus group con professionisti e rappresentanti di associazioni emergono criticità strutturali – ritardi diagnostici, difficoltà di accesso, carenze informative e scarsa integrazione dei servizi – ma anche una diffusa consapevolezza della necessità di rafforzare reti di cura più coese e comunità più sensibili e inclusive.

Esito conclusivo della ricerca è l’elaborazione di tredici raccomandazioni operative rivolte a professionisti, attori del Terzo Settore, enti locali e decisori pubblici, finalizzate alla costruzione di un ecosistema della cura realmente inclusivo, partecipato e sostenibile. Nel loro insieme, le raccomandazioni delineano un modello di community care partecipativo e integrato, fondato sul riconoscimento del caregiver familiare come soggetto competente e co-attore dei percorsi di cura. Tale modello valorizza il sapere esperienziale maturato nella quotidianità dell’assistenza, promuove un’integrazione strutturata tra conoscenze professionali e competenze informali e sollecita il superamento della frammentazione dei servizi attraverso assetti organizzativi e istituzionali abilitanti, capaci di garantire continuità, coordinamento e chiarezza nei ruoli e nelle responsabilità. In questa prospettiva, la qualità delle relazioni di cura diventa una dimensione centrale per sostenere l’engagement dei caregiver, contrastare l’isolamento e ridurre lo stigma, orientando politiche e pratiche verso un ecosistema della cura più equo, inclusivo e capace di accompagnare nel tempo i percorsi di malattia.
 

Un articolo di

Linda Lombi

Linda Lombi

docente di Sociologia generale

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