La guerra in Ucraina ha reso evidente «il grave deficit di cooperazione tra gli Stati» che si è accumulato negli ultimi anni. Tuttavia, faremmo già un grande passo verso la pace se riconoscessimo almeno che la crisi delle regole che hanno retto l’ordine internazionale dalla fine della Seconda guerra mondiale fino a oggi non significa che possiamo farne a meno, ma che dobbiamo scriverne di nuove.
Nonostante le evidenti difficoltà – come la torsione verso l’autocrazia della più importante democrazia del mondo, l’America di Trump; la guerra dei dazi; la corsa al riarmo in Europa – ci sono ancora margini perché ciò accada e nuove istituzioni internazionali sorgano dalle ceneri di quelle che non funzionano più. Magari con obiettivi più limitati.
È questa la tesi centrale, e insieme l’auspicio, del volume “Di tasca nostra. In che modo la guerra cambia la nostra economia e le nostre abitudini”, scritto da Raul Caruso, professore ordinario di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
L’autore ha discusso i temi del libro – uscito per Città Nuova – in un incontro promosso il 21 ottobre in Ateneo dall’Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa (ASSBB) con i colleghi Marcella Nicolini (Università di Pavia) e Rony Hamaui, professore in Cattolica e segretario generale di ASSBB, insieme a Marco Lossani, professore ordinario di Economia politica dell’Università Cattolica, che ha introdotto il dibattito.
Come ha osservato Lossani, il pamphlet – definizione proposta da Hamaui – si apre e si chiude con due citazioni musicali: una del 1979, il brano "Fear of Music" dei Talking Heads, e l’altra del 1989, "New York" di Lou Reed; ma è scritto pensando a un’altra canzone-manifesto, "Let’s Give Peace a Chance" di John Lennon e Yoko Ono del 1969: «come dice esattamente proprio il titolo di quella hit, questo saggio definisce le condizioni minime perché la pace sia ancora possibile».
Il volume di Caruso parte da un parallelismo storico: il mondo di oggi si troverebbe in una condizione analoga a quella del XVII secolo. All'epoca l’Impero spagnolo cadde sotto il peso dei debiti consentendo agli Stati nazionali di prendere il sopravvento. Oggi è ancora l’indebitamento a scuotere l’ordine liberale occidentale e ad aprire una fase del tutto nuova, quella che l’autore chiama una “Grande Transizione”, segnata da forte instabilità e da una crisi del sistema multilaterale.
Il conflitto tra Russia e Ucraina va collocato in questa situazione di incertezza. Ampiamente prevedibile – sarebbe bastato considerare la trasformazione dell’economia russa degli ultimi decenni per rendersene conto – secondo Caruso la guerra sta impoverendo tanto l’Ucraina quanto la Russia.
Sebbene su questo punto, i dati siano controversi. Per esempio, ha fatto osservare Hamaui: «dopo un tonfo iniziale, il PIL russo è aumentato del 4% nel 2023 e nel 2024, la disoccupazione è al 2,2% e i salari nominali sono cresciuti del 18%».
Nonostante le sanzioni internazionali siano state largamente aggirate, grazie alla triangolazione con Paesi terzi e alla mancanza di coordinamento tra gli Stati – emblematico, ha fatto osservare Nicolini, l’aumento del prezzo del petrolio che ha largamente compensato le perdite delle esportazioni russe – a parere di Caruso «la conversione della Russia in un’economia di guerra alla lunga farà implodere il Paese».
Tuttavia, al di là dei costi umani, altissimi – «cinque volte superiori a quelli sostenuti dalla Russia in tutte le guerre combattute dalla Seconda guerra mondiale a oggi», ha ricordato Hamaui – ciò che ci si può augurare è che il conflitto apra almeno una nuova fase costituente, come accadde nel 1944, a Bretton Woods, quando furono gettate le basi delle istituzioni internazionali tuttora vigenti.
Nel quarto capitolo, “Proposte in tempo di guerra”, Caruso avanza alcune ipotesi su cui fondare un nuovo patto tra Paesi: una tassa sugli extraprofitti di chi beneficia dell’economia di guerra (dall’industria bellica a quella energetica); un maggiore prelievo fiscale sulla ricchezza; il controllo dei prezzi sui beni agricoli; una limitazione al traffico di armi.
«Sono tutte proposte interessanti – ha commentato Hamaui – tuttavia occorre tenere conto della loro ardua implementazione e, soprattutto, degli effetti distorsivi sul mercato che potrebbe produrre tassare l’industria bellica o imporre dei prezzi su generi come quelli alimentari».
Più possibilista, Nicolini ha evidenziato come la tassazione dei super-ricchi sia «un tema oggi centrale anche negli Stati Uniti, dove il frontrunner democratico per la carica di sindaco di New York, Zohran Mamdani, ha rilanciato la proposta».
Per Caruso, però, il rischio di non intervenire sarebbe maggiore degli eventuali contraccolpi.
In ogni caso, dall’incontro è emerso quanto più degli accordi in diretta mondiale, sia la volontà di trovare un’intesa su alcuni principi comuni la condizione necessaria per dare ancora una possibilità alla pace.