«Quella che stiamo vivendo oggi, assomiglia alla corsa per la conquista dello spazio degli anni della guerra fredda. Oggi il confronto è tra Stati Uniti e la Cina. E benché oggi siano statunitensi tutte le sette aziende leader, sono cinesi il maggior numero di brevetti: per cui non è detto che alla fine arrivino prima gli americani. Invece è molto difficile che lo faccia l’Europa dove nessuna impresa è al momento competitiva».
«Arrivare per primi» non è importante solo per avere un ruolo nel mercato globale, benché anche questo conti. La questione ancora più rilevante è che perdere questa sfida significherà non potere esercitare un controllo efficace su dispositivi destinati a diventare sempre più pervasivi in svariati ambiti della società.
«Avete provato a chiedere a Deep Seek che cosa accadde in piazza Tienanmen? Il primo tentativo cinese di sviluppare l’intelligenza artificiale ci ha mostrato quanto il modo con cui sono addestrati questi modelli faccia tutta la differenza del mondo. Non avere un Large Language Model europeo performante vuol dire adottare strumenti che non sono stati progettati secondo principi e valori europei e che quindi, per esempio, non riconoscono il diritto d’autore - che noi, diversamente degli Stati Uniti, tuteliamo - o che utilizzano i dati biometrici delle persone per esercitare il controllo, tipica tentazione di regimi non democratici», ha osservato Ascani.
Inoltre, la potenza di calcolo richiesta dalle intelligenze artificiali assorbe enormi quantità di energia che pongono un’enorme questione sulla sostenibilità ambientale di questa innovazione. «Per ogni riposta ChatGpt consuma una bottiglia d’acqua da mezzo litro», ha esemplificato l’onorevole.
Per non parlare dell’impatto sul lavoro, anche sulle professioni più creative, che fino all’altro ieri si pensavano insostituibili dalle macchine.
Ma come evitare questi rischi senza bloccare questa tecnologia che in altri ambiti promette benefici strabilianti, per esempio sulla salute, in particolare nell’aumentare la capacità di diagnosi e di cura?
Pur non avendo sviluppato il mondo digitale, L’Europa è stato il primo posto al mondo a tentare di regolamentarlo. Tuttavia, anche su questo fronte non sono mancate le difficoltà. Proprio nel giorno del convegno in Ateneo, è stata diffusa la notizia del rinvio dell’entrata in vigore del regolamento europeo sull’Intelligenza Artificiale, l’AI Act, chiesto dalla Commissione Europea: una decisione interpretata da alcuni osservatori come una frettolosa marcia indietro per evitare ulteriori tariffe sulle merci europee da parte dell’amministrazione Trump.
«Trovo inaccettabile che si posticipino al 2027 i termini dell’applicazione di questo regolamento dopo tutta la fatica che abbiamo fatto per elaborarlo – ha commentato la vicepresidente della Camera incalzata dalle domande del pubblico - Soprattutto mi pare paradossale decidere che alcuni effetti siano nocivi e poi stabilire che le misure per evitarli entrino in vigore praticamente tra due anni, quando quelle conseguenze si saranno già prodotte». Ma a chi le ha obiettato che l’eccesso di norme può frenare l’innovazione Anna Ascani ha riconosciuto che «forse sarebbe stato meglio proporre meno regole, ma essere più rigorosi nel farle rispettare» Insomma, stare in mezzo tra “apocalittici” ed “integrati” non è un esercizio semplice. E, in definitiva, non è nemmeno la posizione più comoda.