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I punti di contatto tra economia e speranza
Se ne è discusso in occasione di un incontro organizzato dal Dipartimento di Politica economica
| Agostino Picicco
21 maggio 2025
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A prima vista, sembra un paradosso. Eppure, sono numerose le evidenze che mostrano l’esistenza di una relazione profonda, quasi osmotica, tra due termini apparentemente incompatibili: finanza e speranza. Gli stessi investimenti finanziari sono atti di fiducia, la scelta di scommettere su un futuro migliore. L’importante è indirizzare le scelte finanziarie verso obiettivi “generativi”, e non limitarsi alla pura logica della massimizzazione del profitto.
La finanza, dunque, può essere strumento di speranza. È il messaggio unanime emerso dalle testimonianze di accademici e professionisti che, giovedì 15 maggio, sono intervenuti all’evento “La speranza nel rapporto tra generazioni e nelle decisioni finanziarie”, promosso dalla Facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative nell’ambito dell’Iniziativa di Ateneo sul tema giubilare nata per rispondere alle sollecitazioni della “Spes non confundit” di Papa Francesco. «Lo spirito di questi incontri è una narrazione nuova del termine speranza, grazie al contributo di docenti e di studenti che, senza sottovalutare la complessità del momento storico che stiamo vivendo, non sono paralizzati né dal pessimismo né dall’ottimismo ma sono seriamente impegnati a cambiare questo mondo per renderlo più vivibile», ha detto il prorettore vicario Anna Maria Fellegara, che ha portato al convegno i saluti del Rettore Elena Beccalli. «Va in questa direzione l’idea di scrivere un “Libro Bianco” al termine del ciclo», ha aggiunto il prorettore vicario.
«Nella parola speranza troviamo sia l’aspettativa sia l’iniziativa, due dimensioni che si completano», ha ricordato il preside della Facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative Giovanni Petrella. «La speranza non è attesa passiva, ma è parte attiva, un seme che porta all’azione e ci permette di proiettare la vita verso un futuro migliore e desiderabile, affrontando le difficoltà con un approccio positivo e perseverante».
Un articolo di
Per chiarire il significato profondo di speranza, il preside Petrella si è affidato alle parole di Václav Havel: «La speranza non ha niente a che vedere con l’ottimismo poiché non è la convinzione che ciò che stiamo facendo avrà successo. Ma è la certezza che ciò che stiamo facendo ha un significato». Un aspetto cruciale per le università il cui impegno quotidiano è la formazione di nuove generazioni. Tuttavia, una recente indagine dell’Osservatorio giovani del Toniolo rivela che la speranza non è un sentimento o una virtù diffusa tra i giovani, rendendo ancora più rilevante la missione educativa delle istituzioni universitarie. Per tutte queste ragioni, ha aggiunto il preside Petrella, «il dibattito sulla speranza è inevitabilmente intergenerazionale», è un appello a riflettere su come «le generazioni attuali non possono appropriarsi dei sogni e delle risorse di quelle future».
A tal proposito, ha fatto eco Angelo Baglioni, docente di Economia monetaria in Cattolica e coordinatore della prima sessione dell’incontro dedicata a speranza, aspettative e sostenibilità, sono state individuate tre direttrici fondamentali per indagare in ottica di lungo periodo il rapporto tra generazioni: i conti pubblici, i sistemi pensionistici, la finanza verde. Già perché, ha argutamente affermato il fondatore e direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Ateneo Carlo Cottarelli, in un Paese come l’Italia afflitto da un elevato debito pubblico, non si può e non si deve perdere la speranza. A preoccupare è soprattutto l’esposizione al rischio che innalza la probabilità che i mercati perdano fiducia nel futuro e quindi la speranza di essere ripagati. Per evitare tale rischio, l’economista ha indicato alcune strategie possibili. La «strada maestra» è la maggiore «crescita economica» che può avere un effetto benefico non solo sul numeratore del rapporto tra debito pubblico e PIL, ma anche ridurre lo squilibrio tra spesa pubblica ed entrate. Inoltre, può determinare una riduzione del deficit, consentendo di raggiungere il pareggio del bilancio e limitare così l’innalzamento del debito in euro. Una strategia che per Spagna, Portogallo e Belgio si è rivelata vincente. E potrebbe esserlo anche per l’Italia: basterebbe un aumento per i prossimi quindici anni di un punto percentuale del tasso di crescita per far scendere il rapporto tra debito pubblico e PIL dal 135% al 60%.
La sostenibilità dei conti pubblici è strettamente legata a due aspetti chiave, previdenza e sanità, destinati a diventare sempre più critici in tutto il Vecchio continente, in particolare in Italia che dal 1980 al 2022 ha registrato un aumento della vita media di circa nove anni sia per gli uomini che per le donne, fenomeno ben noto che viene denominato dagli attuari “longevity risk”. Una situazione allarmante per i sistemi previdenziali, come confermano alcune proiezioni demografiche relative al nostro paese: entro il 2050 la fascia di popolazione tra i 70 e gli 80 anni sarà il doppio rispetto a quella tra 0 e 10 anni. A delineare lo scenario che ci attende è stato Nino Savelli, attuario e docente di Teoria del rischio. «C’è un patto intergenerazionale sul quale si fonda il funzionamento e l’equilibrio dei sistemi previdenziali di primo pilastro, quasi tutti nel mondo gestiti “a ripartizione”, che però rischia di saltare sotto la spinta della velocità con cui cambia la piramide demografica». Come contrastare il trend negativo? Secondo Savelli bisogna pensare strumenti che abbiano un minimo di solidarietà per evitare che il patto intergenerazionale imploda, anche mediante strumenti di mitigazione quali, per esempio, i longevity bond o strumenti longevity-linked, già utilizzati dai fondi pensione o dalle maggiori compagnie di assicurazione e riassicurazione.
Quando si parla di futuro, il pensiero corre immediatamente al destino del nostro pianeta. Tuttavia, le recenti crisi mondiali - dalla pandemica all’energetica fino ai conflitti in varie aree del mondo - hanno spostato l’asticella verso altre questioni, relegando l’ambiente in secondo piano, come testimoniano le proteste di piazze non più animate dal Fight For Future. Così, dopo l’entusiasmo iniziale, anche l’interesse per i titoli Esg si è affievolito. Lo ha specificato bene Martina Daga, di AcomeA SGR e alumna dell’Università Cattolica, dicendosi comunque fiduciosa sul futuro della finanza green che, dal suo punto di vista, risente gli effetti di un «calo di attenzione» dovuto non tanto a fattori strutturali ma piuttosto a una fase di transizione generale.
Ma la speranza, oltre che di fiducia, si nutre anche di rischio. L’hanno detto con chiarezza i relatori della seconda sessione del dibattito, rispondendo alle sollecitazioni di Mario Anolli, docente di Gestione dei rischi finanziari. Di questo è convinto Andrea Perrone, docente di Diritto bancario, che, parlando di fragilità della fiducia e delle drammatiche conseguenze economiche che il suo tradimento può provocare, ne ha invocato la necessità di protezione. In tal senso, il diritto ci viene incontro fornendo innumerevoli strumenti giuridici. «I controlli preventivi sulle banche sono un incentivo a non tradire la fiducia», ha aggiunto Perrone, non senza ricordare che però non hanno impedito le crisi bancarie. La speranza cristiana, da parte sua, può offrire una prospettiva nuova, di resilienza, aiutando «nell’inevitabile imperfezione delle cose umane a guardare al futuro con fiducia e così sostenere, anche nella vita economica, una ripresa continua».
Una visione condivisa da Sara Parrino, Generali Investments e anche lei alumna dell’Università Cattolica. Per la giovane manager, nel linguaggio finanziario la speranza si traduce nella capacità di guardare oltre le oscillazioni dei mercati, di spingere un’impresa a innovare e di portare un istituto finanziario verso progetti lungimiranti. E, pertanto, è il motore delle decisioni finanziarie. Interpretazione che trova un solido ancoraggio nella nostra Carta Costituzionale, in particolare negli articoli 9 e 41, modificati nel 2022 per valorizzare il patto intergenerazionale alla base delle scelte economiche. A ribadirlo è stato il giudice costituzionale Antonella Sciarrone Alibrandi che, tirando le somme della discussione, ha assegnato alle università, in quanto ideali laboratori di speranza, «la responsabilità di pensare paradigmi che sappiano orientare le decisioni di investimento verso un futuro sostenibile per le generazioni di domani».