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TB Day, un passo per sconfiggere la tubercolosi

28 maggio 2025

TB Day, un passo per sconfiggere la tubercolosi

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«Siamo venuti senza soldi: ci hanno detto che tutto è gratuito», dice una giovane donna.

Fadi - questo il suo nome – ha il capo coperto dallo hijab islamico. La bambina che sorregge tra le braccia non riesce a tenere gli occhi aperti e pare fiaccata da qualcosa di più pesante di una semplice stanchezza.

«Spero possiate aiutarci. Che Dio vi benedica!», aggiunge prima di rimettersi in fila. 

Lo scorso 6 marzo, insieme a questa mamma, oltre 300 persone, hanno partecipato al TB Day, il giorno di lotta alla tubercolosi, promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dall’Ospedale Sainte Jeanne Antide Thouret a Ngaoundal (Camerun).

Per sfuggire al caldo torrido, molti abitanti della località e dei dintorni, si sono alzati prima dell’alba per raggiungere il presidio del distretto sanitario.

Altri sono arrivati nel corso della giornata, approfittando del passaggio di un piccolo van che fino a sera ha fatto da navetta tra il centro abitato, dove ha sede il nosocomio, e i numerosi villaggi che sorgono attorno.

Sfidando le alte temperature, le persone hanno atteso pazientemente il proprio turno sotto i tendoni che erano stati montati nel cortile. Hanno compilato i questionari necessari per l’anamnesi. A seconda dei casi, chi ha mostrato sintomi compatibili con l’infezione è stato indirizzato agli esami diagnostici specifici.

Un articolo di

Francesco Chiavarini

Francesco Chiavarini

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Le operazioni si sono svolte in un clima di grande serenità grazie all’efficienza della squadra, composta quasi esclusivamente da personale sanitario locale, a cui si sono aggiunti uno specializzando di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo e un referente amministrativo del Centro di Ateneo per la Solidarietà Internazionale (CeSI) dell’Università Cattolica, venuti per l’occasione dall’Italia.

Nel corso della giornata sono state effettuate 97 radiografie e 80 ecografie, oltre a numerosi test di laboratorio. Visti i numeri elevati, alcuni degli abitanti che avevano partecipato all’iniziativa sono stati richiamati nei giorni successivi per completare gli accertamenti.

«Sinceramente non ci aspettavamo un’affluenza tale – ammette suor Christine Richard, sorella dell’ordine delle suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret e direttrice generale dell’ospedale –. Eravamo all’inizio del mese di Ramadan e qui, in questo periodo, spesso le persone rifiutano di assumere i medicinali, perché li ritengono una forma di alimentazione e dunque una pratica non ammessa. Inoltre, pensavamo che l’arsura tipica di questa stagione avrebbe scoraggiato molti a spostarsi dai villaggi e ad aspettare sotto il sole».

Quando però già all’alba i sanitari hanno visto la coda che si era formata davanti ai cancelli, tutti i timori si sono dissolti. Anzi, ad un certo punto, la preoccupazione è stata quella contraria. «Poiché non riuscivamo a completare tutti i test nell’arco della giornata, abbiamo deciso di organizzare la raccolta dei campioni su due giorni, chiedendo alle persone di ripresentarsi l’indomani. Temevamo che molti non sarebbero tornati ed invece siamo riusciti a completare il programma come avevamo previsto», racconta Antonio Cristiano che all’Università Cattolica si sta specializzando in igiene e medicina preventiva.

Suor Christine è convinta che una parte del merito di questo successo inaspettato sia dovuta all’intervento del griot locale: una figura tradizionale che in questa regione dell’Africa ha un ruolo centrale nella vita sociale.

Ma certamente insieme all’oratoria del personaggio, un argomento molto persuasivo deve essere stato la gratuità delle prestazioni: niente affatto scontata in Camerun.

Lo screening sanitario ha permesso di identificare ben 23 persone positive che non hanno sviluppato la malattia, ma che erano state infettate. Di queste, 17 hanno già iniziato la cura.


«I risultati dimostrano che l’intuizione che avevamo avuto era corretta», osserva Patrizia Laurenti, professoressa associata di Igiene e Medicina Preventiva dell’Università Cattolica, responsabile scientifica del progetto GRIOT di cui questa iniziativa fa parte.

«Nella fase di analisi dei bisogni, avevamo riscontrato numerosi casi pediatrici, alcuni dei quali purtroppo si erano conclusisi con il decesso. Se i bambini di infettavano e morivano, qualcuno doveva trasmettere loro il batterio. I primi indiziati erano i genitori e i familiari infetti ma non malati. Proprio l’esito di questa prima indagine conferma questa ipotesi» spiega la professoressa.

Ma, soprattutto, sembra indicare che ci si sia messi sulla buona strada per la sconfitta della malattia.

«Quella ventina di casi che sono stati individuati non solo saranno venti pazienti che potranno guarire, ma se continueranno a seguire le indicazioni terapeutiche, saranno anche venti focolai di infezione in meno, perché assumendo i farmaci quelle persone non saranno più contagiose», spiega Laurenti.

Finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo attraverso i fondi del Global Fund e gestito dal CeSI, il Centro di Ateneo per la Solidarietà Internazionale, il progetto GRIOT, come indica il suo acronimo che prende il prestito la parola francese traducibile in “cantastorie” si basa su quattro pilastri: la gestione clinica, la responsabilità comunitaria, l’informazione e l’orientamento ai servizi sanitari, allo scopo di contrastare la tubercolosi. Tra le azioni previste c’è l’organizzare in due anni 6 TB Day nella regione dell'Adamawa: una delle aree del Camerun più colpite dalla malattia, ma anche più povera di strutture sanitarie.

Le giornate hanno un duplice obiettivo: sensibilizzare la popolazione e proteggere la comunità attraverso screening mirati e cure tempestive.

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