Capaci, 23 maggio 1992.
Il passaggio delle auto. L'esplosione. Cinquecento chili di tritolo. Un intero tratto di autostrada sventrato.
Sono passati esattamente trent'anni da quando Cosa Nostra decise di uccidere con un attentato tanto eclatante quanto spaventoso il giudice Giovanni Falcone. Con lui vengono assassinati la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. È l'inizio della stagione delle bombe che proseguirà in modo drammatico 57 giorni dopo in Via D'Amelio con la morte di Paolo Borsellino, collega e amico fraterno di Falcone. Un attacco al cuore dello Stato, proprio nei giorni in cui il Parlamento è riunito in seduta comune per eleggere il Presidente della Repubblica. L’Italia della cosiddetta Prima Repubblica destinata a cadere sotto i colpi di un'inchiesta che ha mosso i primi passi qualche mese prima: Mani Pulite.
Cosa è rimasto, oggi, di quelle macerie? L'Università Cattolica ha ricordato con incontri, pubblicazioni e spunti di riflessione questo doloroso ma fondamentale anniversario. Un'occasione per ricordare che la lotta a Cosa Nostra è essenzialmente culturale perché, come disse lo stesso Falcone in una famosa intervista «la mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani come ha avuto inizio avrà anche una fine».