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Ricordare per costruire un futuro libero dalle mafie

27 maggio 2022

Ricordare per costruire un futuro libero dalle mafie

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Molto è stato fatto. Molto resta da fare, soprattutto a livello culturale, perché la “Bestia” può sempre rialzare la testa. E se la struttura di Cosa Nostra è stata colpita feralmente altrettanto non si può dire di ‘ndrangheta e camorra. Trent’anni dopo la strage di Capaci il bilancio nella lotta alle mafie è sicuramente positivo. Questo è un dato di fatto che va riconosciuto per comprendere che la strada intrapresa dopo quel drammatico 1992, è quella giusta.

A ricordarlo, giovedì 26 maggio, nella Cripta Aula Magna della sede di Milano dell’Università Cattolica sono stati importanti esponenti del mondo poliziesco, politico e giudiziario in prima linea nella lotta alla mafia intervenuti in occasione di un incontro promosso dal Collegio Augustinianum.

«A livello nazionale – ha spiegato il Direttore centrale Anticrimine della Polizia di Stato Francesco Messina - la sensibilità per il fenomeno mafioso, negli anni ’90, prima della morte di Falcone, era prossima allo zero. In quel periodo noi, a Milano, non avevamo minimamente contezza del fenomeno e delle sue peculiari caratteristiche militari ed economiche. In Sicilia, in Campania e in Calabria invece ne erano totalmente consapevoli. In questi trent'anni è stato fatto un lavoro eccezionale. Sono stati sferrati colpi durissimi a Cosa Nostra: lo Stato ha distrutto il suo apparato militare, effettuato centinaia di arresti, accerchiato i latitanti. E l'ultimo grande corleonese ancora in libertà prima o poi lo prenderemo».

«Anche da un punto di vista civile e culturale – ha aggiunto Messina - sono stati fatti grandi passi in avanti. Le scene che abbiamo visto sabato, domenica e lunedì a Palermo nell'anniversario delle stragi dieci o vent'anni fa sarebbero state inimmaginabili. Ma non possiamo dire lo stesso per camorra e soprattutto 'ndrangheta. La Calabria sembra Palermo di trent'anni fa. Ed è un discorso che vale anche per la Campania».

«Abbiamo fatto davvero tanto – ha ribadito Paolo Guido, Coordinatore unico della Direzione distrettuale antimafia della Procura di Palermo - il modello verticale è stato sconfitto. Quella struttura ha perso la guerra. È storia. Il maxi-processo resta, ancora oggi, il dibattimento con più imputati a livello mondiale. Tutta la mafia stragista è seppellita in carcere e morirà in carcere. Lo Stato non ha ceduto, ha tenuto banco. Dobbiamo dircelo. Basta con gli alibi e con le scuse. Questo è il momento in cui possiamo fare un passo oltre, per, riprendendo il titolo di questa giornata “costruire un futuro libero dalle mafie”».

«In Cosa Nostra adesso dominano i ras locali, in un certo senso si è 'camorrizzata'. Adesso ha una formula orizzontale, anarchica, più stabile, ma più pericolosa perché ancora più difficile da individuare e quindi da estirpare. Ed è forte sulle situazioni economiche disastrate di determinati territori. Se c’è benessere, c’è ricchezza, questa mafia è perdente. Perché il reclutamento non funziona. Per questo bisogna proteggere i territori dove c'è benessere. Oggi fa affari con il controllo della criminalità diffusa, con la percentuale sul furto dei motorini, per esempio. Una cosa impensabile per la mafia del passato. Tuttavia, è molto meno potente dal punto di vista militare».

«La latitanza di Matteo Messina Denaro – ha concluso - è un problema, un problema serio. Perché rappresenta un ponte tra quel mondo che abbiamo estirpato, e quello esterno. 43 anni di latitanza ne alimentano la leggenda. La sua cattura concluderebbe un ciclo».

E sulla ‘ndrangheta lancia un monito: «Io sono calabrese e vi posso rivelare un'intercettazione dal valore altamente simbolico. Un dialogo tra due mafiosi in cui uno spiega a un altro che “il mondo si divide in due parti: la Calabria e quello che diventerà Calabria”. Per questo a voi, qui a Milano, dico di fare attenzione perché anche queste sono terre di conquista. Chi vive qui al Nord oggi ha molto da temere».

Un articolo di

Luca Aprea

Luca Aprea

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«Non permettete a nessuno di dire che siete il futuro di questo Paese – ha detto rivolgendosi ai tanti ragazzi presenti il Presidente onorario della Fondazione Caponnetto Giuseppe Antoci - voi siete il presente. Dobbiamo sottolineare sempre di più il valore della scelta. Il silenzio è un problema non solo nella lotta alla mafia ma anche per molti altri mali. Come ha detto il presidente della repubblica Sergio Mattarella, non scegliere, non schierarsi, rimanere in silenzio non è una scelta di neutralità ma un appoggio alle mafie. Bisogna scegliere. Adesso. Senza atti di eroismi, che di eroi ne abbiamo avuti anche troppi, serve una nuova normalità. E guai a mettere in prima linea l’Io perché nella lotta alla mafia è il Noi che vince».

«È vero che l'Italia ha le leggi antimafia migliori d’Europa e probabilmente del mondo – ha aggiunto Antoci - ma il testo più importante contro le mafie di questo Paese è la nostra Costituzione. Voi ragazzi dovete garantire la credibilità. Credibilità, una parola che piaceva tanto al giudice Rosario Livatino».

«Ci sono tanti modi per morire una volta sola – ha concluso - ma alzarsi, guardarsi allo specchio e sentirsi sporchi, sapere di essere in silenzio o peggio conniventi senza poter alzare gli occhi per guardare in faccia i propri figli è morire ogni giorno. La paura è un sentimento che io rispetto. Perché la conosco e mi accompagna. Ma va trasformata quotidianamente in coraggio».

Sulla questione culturale ha invece puntato molto il professor Matteo Caputo, docente di Diritto penale dell’Ateneo, ha ricordato quanto sia centrale il ruolo delle università per quanto riguarda i temi dell'educazione culturale e della legalità: «L'università è un luogo di erudizione, dove si contrasta la legge del più forte. E vale per tutte le facoltà non solo per quelle giuridiche o politiche».

Sui temi della giustizia Caputo ha ricordato i fondamenti del diritto: «Attenzione alla logica dell’emergenza perché spesso in quest’ottica si possono fare scelte non ponderate. Lo Stato è fatto di uomini che, pur in assoluta buona fede, possono sbagliare. Le istituzioni non possono porsi sullo stesso piano rispetto alla controparte ma devono lottare con una "mano dietro la schiena", perché in quella mano c'è la Costituzione. La grande sfida è quella di unire i principi di prevenzione e sicurezza, che sono sacrosanti e hanno trovato ampio riscontro in alcune recenti sentenze della Corte di Cassazione, con quelli di umanità».


Una riflessione che ha innescato un interessante dibattito su cui però è emersa l'assoluta particolarità ed eccezionalità dei detenuti condannati per crimini mafiosi. «Da Cosa Nostra - ha spiegato Guido -  si esce solo in due modi: con la morte o collaborando con la giustizia. E questo vale per tutti, picciotti compresi. Il problema non è tanto il cosiddetto ergastolo ostativo ma capire cosa si intende per “condotta penalmente rilevante”, è qui che il giurista e il legislatore devono soffermarsi per una riflessione. La grande conquista, dal punto di vista giuridico, di Falcone e Borsellino, è stato il riconoscimento dell'associazione mafiosa come reato. Oggi, in linea teorica, un detenuto affiliato, appena uscito dal carcere, se non ha parlato, può essere subito ri-arrestato anche senza aver commesso alcuna azione perché l'associazione di stampo mafioso è un reato permanente».

In coda all'incontro, introdotto da Andrea Patanè, ricercatore di Diritto costituzionale e direttore del Collegio Augustinianum e moderato Alessandro Anselmo, studente della Facoltà di Giurisprudenza, c'è stato spazio per le domande degli studenti presenti in sala. Nel rispondere a una delle questioni poste dai ragazzi Francesco Messina ha fatto alcune puntualizzazioni sulla recente puntata di Report in cui si ipotizzava un legame tra estrema destra e la mafia siciliana: «Posso rispondere perché ho partecipato in prima persona alle attività investigative citate dalla trasmissione. Premesso che va scisso il lavoro giornalistico da quello poliziesco noi avevamo steso un atto, non di denuncia ma di scenario, in cui avevamo segnalato a tre Procure che Cosa Nostra, alla ricerca spasmodica di referenti politici, aveva intrapreso alcuni contatti con esponenti dell'estrema destra, peraltro noti. Ma sulla strage di Capaci, non c'è nessun coinvolgimento, vale quello che è stato confermato dalle sentenze».

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