Molto è stato fatto. Molto resta da fare, soprattutto a livello culturale, perché la “Bestia” può sempre rialzare la testa. E se la struttura di Cosa Nostra è stata colpita feralmente altrettanto non si può dire di ‘ndrangheta e camorra. Trent’anni dopo la strage di Capaci il bilancio nella lotta alle mafie è sicuramente positivo. Questo è un dato di fatto che va riconosciuto per comprendere che la strada intrapresa dopo quel drammatico 1992, è quella giusta.
A ricordarlo, giovedì 26 maggio, nella Cripta Aula Magna della sede di Milano dell’Università Cattolica sono stati importanti esponenti del mondo poliziesco, politico e giudiziario in prima linea nella lotta alla mafia intervenuti in occasione di un incontro promosso dal Collegio Augustinianum.
«A livello nazionale – ha spiegato il Direttore centrale Anticrimine della Polizia di Stato Francesco Messina - la sensibilità per il fenomeno mafioso, negli anni ’90, prima della morte di Falcone, era prossima allo zero. In quel periodo noi, a Milano, non avevamo minimamente contezza del fenomeno e delle sue peculiari caratteristiche militari ed economiche. In Sicilia, in Campania e in Calabria invece ne erano totalmente consapevoli. In questi trent'anni è stato fatto un lavoro eccezionale. Sono stati sferrati colpi durissimi a Cosa Nostra: lo Stato ha distrutto il suo apparato militare, effettuato centinaia di arresti, accerchiato i latitanti. E l'ultimo grande corleonese ancora in libertà prima o poi lo prenderemo».
«Anche da un punto di vista civile e culturale – ha aggiunto Messina - sono stati fatti grandi passi in avanti. Le scene che abbiamo visto sabato, domenica e lunedì a Palermo nell'anniversario delle stragi dieci o vent'anni fa sarebbero state inimmaginabili. Ma non possiamo dire lo stesso per camorra e soprattutto 'ndrangheta. La Calabria sembra Palermo di trent'anni fa. Ed è un discorso che vale anche per la Campania».
«Abbiamo fatto davvero tanto – ha ribadito Paolo Guido, Coordinatore unico della Direzione distrettuale antimafia della Procura di Palermo - il modello verticale è stato sconfitto. Quella struttura ha perso la guerra. È storia. Il maxi-processo resta, ancora oggi, il dibattimento con più imputati a livello mondiale. Tutta la mafia stragista è seppellita in carcere e morirà in carcere. Lo Stato non ha ceduto, ha tenuto banco. Dobbiamo dircelo. Basta con gli alibi e con le scuse. Questo è il momento in cui possiamo fare un passo oltre, per, riprendendo il titolo di questa giornata “costruire un futuro libero dalle mafie”».
«In Cosa Nostra adesso dominano i ras locali, in un certo senso si è 'camorrizzata'. Adesso ha una formula orizzontale, anarchica, più stabile, ma più pericolosa perché ancora più difficile da individuare e quindi da estirpare. Ed è forte sulle situazioni economiche disastrate di determinati territori. Se c’è benessere, c’è ricchezza, questa mafia è perdente. Perché il reclutamento non funziona. Per questo bisogna proteggere i territori dove c'è benessere. Oggi fa affari con il controllo della criminalità diffusa, con la percentuale sul furto dei motorini, per esempio. Una cosa impensabile per la mafia del passato. Tuttavia, è molto meno potente dal punto di vista militare».
«La latitanza di Matteo Messina Denaro – ha concluso - è un problema, un problema serio. Perché rappresenta un ponte tra quel mondo che abbiamo estirpato, e quello esterno. 43 anni di latitanza ne alimentano la leggenda. La sua cattura concluderebbe un ciclo».
E sulla ‘ndrangheta lancia un monito: «Io sono calabrese e vi posso rivelare un'intercettazione dal valore altamente simbolico. Un dialogo tra due mafiosi in cui uno spiega a un altro che “il mondo si divide in due parti: la Calabria e quello che diventerà Calabria”. Per questo a voi, qui a Milano, dico di fare attenzione perché anche queste sono terre di conquista. Chi vive qui al Nord oggi ha molto da temere».